Saturday, January 11, 2003

Cienfuegos
Una notte a Cienfuegos, la città dedicata a un eroe della rivoluzione, “el hombre de la vanguardia”, che qualcuno dice sia stato fatto fuori dallo stesso Fidel. La città dove è in costruzione l’unica centrale nucleare di Cuba, per fortuna non ancora in funzione.

Passo le ore del pomeriggio a girare per il lungomare, guardando i resti di quelli che furono i casinò gestiti dalla mafia di Lucky Luciano, durante la dittatura di Batista. E sperimento la prima discriminazione a mio danno dell’aprtheid cubano. Vorrei prendere un risciò ma nessuno mi carica. “Tu non puoi, sei turista, devi prendere il taxi”. Con un caldo porco dovrei chiudermi in una scatoletta perché non sono nato a Cuba? Col cazzo. Mi tengo il sole che mi picchia sulla testa, maledico Fidel una volta in più, e mi faccio il lungomare a piedi.

Il regime dice che a Cuba non c’è la prostituzione, al massimo ci sono le jineteras. Vorrei sapere allora come devo considerare quella bambina, probabilmente non arriva a quindici anni, che mentre passeggio mi chiede se può essere la mia chica. Le dico che è un po’ troppo giovane e che non mi piacciono le donne a pagamento. Per tutta risposta si avvicina al mio orecchio e comincia a mormorare “Diez… diez…”, dove diez sta per dieci e la parola sottointesa che manca è dollari. Per non inquadrare la vicenda da moralista bacchettone, quale (vedi sopra) non mi pare di essere, occorre aggiungere che a Cuba è normale avere rapporti sessuali a 14-15 anni. Mi chiedo se lo sia altrettanto venderli agli stranieri per dieci dollari.

La sera sono seduto su una panchina, nel corso principale. Arriva un tizio piuttosto grosso.
_“Hey amico posso parlare un po’ con te?” “Prego” . E mi attacca una pezza di almeno un ora sul fatto che lui è un pugile della nazionale cubana, che è stato anche in Italia, che si sta preparando per Sydney. Poi mi dice che con gli italiani non picchia duro ma con gli americani sì. Ecco, se ancora potevo avere qualche dubbio, da questa frase mi risulta inequivocabile che si tratta di un contapalle.

Arriviamo a una discoteca all’aperto.
_“Hey amigo, se qualcuno ti infastidisce dillo a me che sono pugile, lo smarrisco io.” Grazie, ma non c’è bisogno.
_“Hey amigo, mi offri una birra?” Volentieri. “Hey amigo, mi offri un’altra birra?” Volentierino.
“Hey amigo mi offri una bottglia d’acqua, se mi dai un dollaro vado a comprarla alla baracchina e torno subito” Certo, come no? Ovviamente non lo rivedo più. Me la sorrido sotto i baffi, così e Cuba.

Cosa avreste fatto voi a questo punto? Sareste andati a nanna? Siete persone sagge. Io invece ho ereditato i geni di un mio antico progenitore, tal Lucignolo, che mi obbligano a perseverare negli errori. Non è certo colpa mia.

Mi aggrego a un gruppetto di cinque tra ragazzi e ragazze, che mi invitano ad andare in discoteca con loro.
_“Hey amigo, le ragazze non hanno abbastanza soldi per l’ingresso, ci presti un paio di dollari?”
A questo punto parlo solo italiano, però molto chiaro e scandito.
_“Allora. Io sono qui da neanche una settimana e tutti mi chiedono soldi. Io non lavoro per mantenere qualche migliaio di cubani. Quindi facciamo così: andiamo in discoteca , quando siamo là io vi integro il biglietto con un paio di dollari, poi voi non mi chiedete più nulla per tutta la serata, ok?”

Ok. In discoteca non ci fanno entrare perché una delle ragazze non ha i documenti e sembra un po’ troppo giovane ai gestori.
Finiamo in una birreria statale che sta aperta fino a tardi. La birra costa pochissimo e, per la prima volta da quando sono arrivato, saranno loro ad offrire a me il primo giro. Si crea una bella atmosfera. I ragazzi sono simpatici. Parliamo. Io gli racconto le mie avventure da quando sono arrivato. Loro ridono, capiscono il mio punto di vista. E mi raccontano il loro.

Mi dicono che vengono da Santa Clara, che sono a Cienfuegos perché c’è un po’ più di vita, che gli piace fare casino. Sembra il trionfo della banalità. Piccolo particolare: siamo a Cuba. E, anche se le distanze più o meno sono simili, non è come un gruppo di ragazzi che da Modena va a passare la serata a Bologna. O che da Lodi fa un salto a Milano per una vasca in Galleria. Perché nessuno di questi miei nuovi amici possiede un auto propria. E le loro famiglie neppure. Quindi i trasporti sono legati a passaggi occasionali o al mezzo pubblico. Andare in un'altra città a passare la serata, vuol dire come minimo passarci anche la nottata. A questo si aggiunga che a Cuba non è normale essere residenti in una città e trovarsi in un’ altra senza un valido motivo. Perché i vagabondi sono gente che solitamente vive di espedienti. E se sei una ragazza carina e ti trovi in una città di mare che non è la tua, beh, l’espediente è facilmente intuibile. Quindi la gente non ti guarda proprio benissimo.

Parla Miguel: _“Io lavoro in una ditta statale che inscatola le porzioni di carne distribuite con la Librèta” (che vuol dire a prezzo politico). “ Il mio salario mensile, tradotto in dollari, equivale a circa 8. Un paio di pantaloni comprato in negozio ne costa 20. Come faccio a sopravvivere secondo te? E’ semplice: rubo. Tutti rubano nella mia fabbrica. Rubiamo sul peso delle porzioni di carne e poi ce la vendiamo al mercato nero. Nessuno riceve la quantità di carne che sarebbe prevista. Se la pesi ti accorgi che è sempre meno. E funziona così con tutto.”

_“Dai, vieni con noi a Santa Clara, sei nostro ospite, ti facciamo vedere la Cuba reale.”
Lì per lì la cosa mi sembra appetibile. Ci si sta bene coi ragazzi, sembrano sinceri. Ci si parla bene. E poi c’è quella Claudìa che è simpatica, molto carina… e tutta la serata è così leggera… e tutti i giri di birra che abbiamo fatto.. e …oddio, ci stiamo già baciando.
Bene. Mi chiama già tesoro, amor. Vuole che vada a casa sua, o meglio, di sua zia, dove è ospite. Ma quando anche la birreria chiude la nostra nottata prosegue, con tutto il gruppo. Giriamo, bighelloniamo, parliamo, torniamo nella discoteca all’aperto dove avevo incontrato il pugile. Finisce che sorge anche il sole. E così ci troviamo io e lei, mano nella mano, in una città che si sta popolando di gente che va a lavorare. O al mercato. E forse io sono troppo bianco. O forse è il suo vestito che è troppo appariscente. Fatto sta che mi sembra di girare con un insegna al neon addosso. Ci guardano tutti. E già qui la catena mi scende un po’.

Poi arriviamo a casa sua. O meglio di sua zia. E ci apre sua zia. “Tranquillo, mia zia e mio zio devono andare a lavorare. Staranno via tutto il giorno”. Mi sento una merda.

Poi apre la porta della sua stanza e dentro c’è sua figlia che sta dormendo. “Ah, hai una figlia?” “Sì, 12 anni. E’ bellissima, no?” Sì. Sono io che mi faccio schifo.

A questo punto la bimba si alza, esce dalla camera e poi torna porgendo alla madre una manciata di profilattici.
_ “Non ti preoccupare, mia figlia va di là in sala a fare i compiti. Non sente niente.”
Ah-bè-allora-se-non-sente-niente…

_“Senti, non te la prendere, io ho cambiato idea. Vado a casa a dormire. Ci vediamo in giro, eh?”
Seguono cinque minuti di ”No, ma perché?” “Cosa c’è che non va?”
_”No senti, non c’è niente che non va. E’ che bisogna essere in due no? Ecco, a me m’è scesa. Non ne ho più voglia.”
“Ecco adesso vai con un'altra..” “Tanto tu puoi avere tutte quelle che vuoi…”
“Tranquilla, vado solo a dormire”.
“Va bè, lasciami almeno 5 dollari per mia figlia” Ti pareva.. eccoli.
“ Se ti vedo con un'altra te mato.” Sì sì.

Esco e in strada c’è una manifestazione di regime coi bambini che recitano poesie.
Ho la nausea. Arrivo a casa, faccio su la mia roba e dico al padrone di casa che parto immediatamente.
_“Ma aveva detto che si sarebbe trattenuto un altro giorno”. Ho cambiato idea
(continua)

Friday, January 10, 2003

Dalla parte dei forti
Andare a Cuba è come entrare in una prigione in cui i detenuti fanno a gara per offrirti i loro servigi. Perché tu puoi essere la chiave che apre la loro cella o comunque, anche se non sono così fortunati, può migliorargli la permanenza. Bello, no?

A Cuba vige l’apartheid. Te ne rendi conto subito se non hai gli occhi foderati di salame ideologico o se non sei di quelli che non vogliono vedere. Però non è vero che fa così schifo, c’è una cosa positiva in tutto questo. Cioè che tu sei dalla parte bella della barricata. Quella dei forti. Quella dei ricchi. Tu sei un turista. Razza superiore. Se in Banca c’è la coda, il cubano sta in fila. Tu passi. Per prendere un gelato al Coppelia, la gelateria più grande e famosa dell’isola, un cubano impiega un paio d’ore. Tu un paio di minuti. Ma che non ti venga in mente di sbagliare coda e di metterti con gli indigeni , magari per fare il radical chic. Perchè dopo 2 ore di attesa non ti danno il gelato e ti indirizzano nella coda giusta. A Cuba non vogliono martiri. Tu sei razza superiore e non devi rompere i coglioni. Tu hai i privilegi e te li devi tenere.

All’Avana c’è un poliziotto ogni duecento metri. Non è un modo di dire. All’Avana c’è un poliziotto ogni duecento metri. A qualsiasi ora del giorno e della notte. Almeno nei quartieri frequentati dai turisti. Mi ispirano repulsione? No, sicurezza. Loro sono i cani da guardia al mio servizio. A dir la verità, in realtà sono al servizio del vero padrone, quel Fidel Castro che va a tutti i summit mondiali a fare l’eroe della giustizia sociale. Ma in questo momento io sono un elemento (il turista) funzionale al suo potere. Quindi sono dalla parte giusta. Quella dei forti.
Giro per i vicoli più bui dell’ Avana vecchia in piena notte. Mi guardo intorno.

Stronzi cubani. Io sono solo, in un paese che non conosco, di cui parlo male la lingua, con in tasca una cifra che per me è niente e per voi equivale a otto mesi di stipendio, giro in piena notte nei vicoli più bui del centro della vostra città. Provate a toccarmi, bastardi. Mi basta alzare un dito e vi faccio passare un brutto quarto d’ora …Dio quanto è bello essere dalla parte dei forti…

A Cuba i fatti di violenza sono cosa molto rara. Da questo punto di vista è veramente un bel posto. Ad esempio rispetto alla vicina (e molto violenta) Giamaica. Mi piace pensare che i cubani siano così poco violenti per cultura, non solo per il terrore che il regime può ispirare. Mi piace pensare, in questa disgustosa situazione, di aver trovato persone miti per indole. Probabilmente sbaglio. Ma non è certo. Potrei avere sorprendentemente ragione.

Jinetere
Alla parola Jinetera, la mia guida associa un vocabolo italiano molto preciso: prostituta.
La realtà, scoprirò, è un pelo più complessa. Perché è vero che la Jinetera è un mestiere. E, se per mestiere intendiamo un’attività dalla quale si trae il sostentamento, è uno dei pochi veri mestieri che ci sono nella Cuba di oggi. Però c’è una differenza di atteggiamento tra la Jinetera e la prostituta: la prostituta per definizione pattuisce chiaramente il prezzo della prestazione e si fa pagare prima. Cuba è piena di prostitute, ma pronunciare questo nome è assolutamente vietato.

La Jinetera invece è quella che, secondo il luogo comune, va con lo straniero per una cena o una maglietta. Balle.
Un tempo il regime le definiva: volontarie para el turismo . Ma, come dicono gli autoctoni, “a Cuba le cose cambiano in fretta”. E dopo la visita del Papa si è dato un giro di vite. (Si dice in giro che faccia parte degli accordi Cuba-Vaticano).
Così, l’anno prima del mio arrivo, a un certo punto all’Avana hanno fatto una gigantesca retata di jinetere. Le hanno prese, portate in un campo di rieducazione, rasate a zero e poi hanno dato il foglio di via a tutte quelle che venivano da fuori la capitale. Alle altre hanno detto loro che se le ribeccavano a fare quel mestiere finivano dentro.
Risultato: crollo verticale del turismo.

La situazione che vedo io invece è già molto normalizzata. Le jinetere sono tornate in massa e la polizia si limita molestare con controlli assillanti solo quelle che si sono scelte un compagno un po’ troppo anziano rispetto a loro.
La cosa che colpisce l’ingenuo turista è che quasi tutte si indignano se gli chiedi prima se vogliono soldi.
_” Soldi per fare l’amore? Ma per chi mi hai presa? Vengo con te perché mi piaci”
Negano di essere di jinetere, negano di cercare gli stranieri, negano tutto. Salvo poi chiederti regolarmente dei dollari dopo essere venute a letto con te.
_”Ma mica per il sesso, eh? Solo perché tu sei ricco e devi farmi un regalo.“

Terzo giorno
Il terzo giorno cambio alloggio, mi trasferisco dall'hotel in una casa particular del Vedado.
Poi bighellono per la città. Finirò a Plaza de la Revolucion e poi al Cafè Cantante.

L’Avana è bellissima. Ha i colori caldi e il fascino coloniale decadente. Girarla sui taxi che funzionano come autobus e caricano e fanno scendere le persone lungo il tragitto è una cosa da fare assolutamente.
L’Avana per un turista maschio e solo è l’inferno. Non puoi fare cinque passi di fila senza che si avvicini uno scocciatore e cerchi di importunarti.

Quando faccio i conti coi soldi scopro che in neanche tre giorni ho speso quasi 300 dei 1200 dollari che costituiscono il mio budget di permanenza.
Scappare. Fuggire dall’Avana. Fuggire subito e a gambe levate.
(continua)

Thursday, January 09, 2003

Il mattino dopo non vado via. Verso le dieci a.m. sono già in strada. E vengo immediatamente agganciato da due Jineteros, che secondo la mia guida vuol dire “seccatori da strada”
“Hey amico, fermati un attimo…sei italiano vero? (me lo dicono in italiano)
Ora: io non ho l’aspetto dell’italiano. La mia pelle molto chiara e la cuperosi del viso mi fanno assomigliare a uno che viene un po’ più da nord. E infatti molti di questi scocciatori mi si rivolgono in inglese. Qualcuno mi chiede se sono olandese. Sui vestiti, maglietta e calzoncini molto semplici, non ho assolutamente scritte in italiano. Allora mi prende la curiosità.
_” Sì, è vero. Come fate a saperlo?”
Sono due ragazzi piuttosto giovani, capelli corti, scuretti di pelle. Praticamente dozzinali.
_ “Le scarpe. Porti le Lotto” .
E dire che pensavo che indossare questa marca aumentasse il mio anonimato. Mah, forse sono stati solo fortunati.
_” Amico vieni a fare un giro con noi. Noi siamo della città, ti facciamo vedere tutto quello che c’è da vedere, ti spieghiamo tutto molto meglio di qualsiasi libro”
_ “Mah, veramente non credo che…”
_ “Non aver paura amico. Qui siamo a Cuba, non in Italia. Su quest’isola ci sono nove milioni di persone, quattro milioni di poliziotti e un solo padrone: Fìdel. Qui non c’è criminalità, niente mafia, niente Totò Riina. Non corri nessun pericolo, non aver paura.
Noi non vogliamo soldi, lo facciamo per uno scambio culturale: tu ci racconti un po’ del tuo paese e noi ti facciamo vedere il nostro.”
Non è che io sia totalmente sprovveduto ma, anche se l’ultima frase mi è suonata subito assolutamente falsa, il resto del discorso è plausibile.
E siccome non c’è truffa senza un po’ di complicità da parte del pollo, io faccio la mia parte. E accetto di seguirli mentre mi fanno da guida.
_ “Bene amico. Solo una cosa: tutte le volte che incontriamo un poliziotto noi andiamo un po’ più avanti e fingiamo di farci gli affari nostri. Sai, è illegale per noi intrattenere rapporti con uno straniero.”
Vero. E allora com’è che ieri sera ho girato tranquillamente con una signora al mio fianco, incontrando almeno venti poliziotti, senza che nessuno dicesse niente? Semplice: con le donne non ci sono problemi. Non ci devono essere. Se no chi ci viene più su quest’ isola?
Dico loro che l’Habana vieja l’ho già vista ieri sera e mi faccio portare:
- in banca (avevo bisogno di prelevare)
-alla centrale dei telefoni pubblici (avevo bisogno di telefonare)
poi loro mi portano:
- al Capitolio, il parlamento, che è una copia del Campidoglio di Washington.
- al Barrio Chino - il quartiere cinese
_ “Amico, ci facciamo un mohito?”
_ “Ok” (5$ l’uno = 15$)
-in un mercato popolare e in un dedalo di strade del loro quartiere, Habana Centro
_”Amico ci offri una canna? ”
_”Ok” (3$, ne sborso 5 e non vedrò mai il resto)
Mi portano in casa di uno di loro, mi fanno conoscere la famiglia, poi andiamo sulla terrazza in cima alla palazzina e ci facciamo lo spinello.
Mi portano anche nella loro chiesa, esempio del sincretismo religioso che qui a Cuba ha prodotto la cosiddetta Santerìa.
Gli schiavi africani venivano obbligati a convertirsi al cristianesimo, e così per continuare ad adorare le loro divinità le associavano al culto di un santo cattolico. Nella chiesa infatti ci sono tanti santini, i miei accompagnatori fanno il giro baciandoli tutti, uno per uno e chiamandoli coi nomi delle divinità africane.
es. Chango - dio della guerra, del tuono, del fuoco alias Santa Barbara
Babalu Aye - dio dei lebbrosi, della medicina alias San Lazzaro
Ogun - dio del ferro, della saggezza e delle montagne alias San Pietro
A questo punto si va a pranzare in un Paladar, un ristorante privato. ( 10$, prezzo piuttosto basso perché i compari si fanno dare i soldi da me col padrone fingono di pagare loro)
Poi torniamo all’hotel in risciò. (1$)
Entriamo nella hall e a questo punto mi dicono
_” Bè, guarda.. per l’accompagnamento vorremmo chiederti una mancia... tipo 20 dollari, dieci a testa”
Io ancora non mi rendo conto bene della realtà che mi circonda, però capisco che è una fregatura in piena regola. E d’altra parte di cosa mi lamento? Non era forse farmi fregare il mio scopo, fin da quando ho accettato la loro compagnia? Accetto senza batter ciglio.
Nel momento esatto in cui sto consegnando loro i soldi, un gigantesco poliziotto dà due colpi di manganello sulla vetrata della hall. Indica col dito le mie due guide e gli fa cenno di venire da lui. I due non dicono una parola e si precipitano dall’agente, che ne chiama uno in disparte e comicia a compilare un foglio.
_ “Cosa succede?”
_ “ Niente, ci ha beccato sul risciò insieme a te e ci ha seguito”
_” E adesso?”
_” Non c’è problema, ci fa una multa”
_ “Mi spiace” [godo]
_”Non preoccuparti, se vuoi ci rivediamo domani”
_” No. No no. Domani scappo -pardon- me ne vado dall’Havana.

Il pomeriggio tardo, girando per l’Avana, finisco per chiedere informazioni su non so quale strada a due tipi che cercano di agganciarmi.
_”Dicci dove vai stasera amigo”
_”Non ne ho la più pallida idea”
E li smollo.

Quella sera vado prima al Jazz club e poi in una discoteca del Vedado, Las Vegas.
E neanche a farlo apposta: ci i sono i due tipi che qualche ora prima avevo smollato. Sfiga! Con tutti i posti che ci sono all’Havana.

_ “Amigo, che fortuna averti reincontrato. Sai, con tutti i posti che ci sono…”
Appunto
Mi presentano Yarianne.
Ecco: la solita jinetera. Perché io giassò che è una jinetera. Almeno lo immagino.
Però. Però... . Però. Però è anche una mulatta incantevole.
Troppo incantevole. Infatti balla con me tutta la sera strusciandosi incantevolmente. Tra un ballo e l’altro, consumazioni per tutti (io, lei e i suoi due amici) offerte da me, una foto (polaroid) scattata da un fotografo ambulante e offerta da me, e l’immancabile rosa del venditore ambulante. Bè, questa almeno è ovvio che sia offerta da me.
Con tutto ciò bisogna dire una cosa: a differenza di tutte le jinetere Yarianne non è invadente. Guardandomi intorno vedo le altre che non mollano un attimo la loro preda. Yarianne invece mi sembra molto più naturale. Ha anche altri amici cubani, a parte i due che me l’hanno presentata. E spesso parla, balla e scherza anche con loro. Ma allora, è una jinetera o no?
Come fanno spesso le ragazze da quelle parti, mi chiede se ho già provato una cubana. Le rispondo di sì, ma che non è stato proprio piacevole. E le racconto per sommi capi la storia del giorno prima. Le dico che non mi piace pagare. Lei afferma che invece è giusto. Ma lo dice con un sorriso tra le labbra, che non si capisce
A fine serata dice che vuole venire con me, fare l’amore con me, eccetera.
Le dico che però sono in albergo, e c’è qualche problema. Che domani cambio e vado a stare in una casa particular, ma per stanotte sono ancora lì.
_ “Allora amor, ci vediamo qui domani sera. Balleremo e poi andremo a fare l’amore…”
Mah.
Uscendo dalla discoteca penso a due cose. Primo: che lei mi piace da impazzire. Secondo: che di fare sempre il pollo comincio ad averne abbastanza.
Prevarrà la seconda cosa.
(continua)

Monday, January 06, 2003

Premessa

Questo è un diario di viaggio. L’ordine cronologico delle vicende, con le tappe che si susseguono una dopo l’altra, è strettamente rispettato. I fatti sono rigorosamente autentici. I nomi, per ovvie ragioni, no.

Non si tratta comunque di un diario freddo: accanto ai fatti troverete anche interpretazioni, pensieri, emozioni e opinioni dell’autore. Il tutto dovrebbe aumentarne la leggibilità e persino la veridicità. Ovvio, nel senso relativo che questo termine assume per noi contemporanei.


Sono stato a Cuba

Il paradiso non può attendere. Se ce n’è uno bisogna gustarlo da vivi. Leccornie sessuali da leccarsi le dita a ogni ora del giorno e della notte. L’abbondanza, finalmente l’abbondanza! Vivaddio l’abbondanza! Come un bambino dimenticato di notte in una pasticceria. Come il paese di Bengodi di Gargantua e Pantagruel dove i Maccaroni crescono sugli alberi e pensate un po’ che fame dovevano avere. E così se qui da noi spesso ci sono dei problemi, se non hai la morosa sei costretto a lunghi periodi di astinenza, devi stare a stecchetto, a Cuba no. A Cuba sei finalmente libero di sfogare ogni libido repressa. Il paradiso non può attendere.

Andare a Cuba presenta subito due problemi:

1. Sei un puttaniere e lo devi dire agli altri. E se non ti porti dietro la morosa o se non hai un passato di militante comunista a tempo pieno è un po’ come dichiarare in pubblico che vai a puttane. Quindi può essere imbarazzante.

2. Sei un puttaniere e lo devi dire a te stesso

Io ci andavo da solo e quindi ero il puttaniere perfetto. Quello senza testimoni.

Anni fa non era così. Ci si poteva nascondere meglio, dietro ron&caribe, salsa, Hemingway e Fidel. E soprattutto dietro lo sguardo ispirato del Che in versione ufficiale, quella che ci ha lasciato Korda. Bei tempi, io sono nudo come un verme.

Io che non sono nemmeno comunista. Io che ho una certa simpatia solo per l’altro ramo del socialismo. Quello eretico. Quello che non sopporta gerarchie, autorità ed eserciti , nemmeno quelli di stampo rivoluzionario. Il figlio blasfemo che venne buttato fuori dalla prima Internazionale.

Che cazzo vado a dirgli io ai miei amici, ai parenti, agli amici degli amici, ai figli della donna di mio padre e dell’uomo di mia madre? Che sono lì a rendere omaggio a Camillo Cienfuegos “Alma libertaria de la revolucion”, fatto fuori forse da Fidel stesso? Non ci crederebbe neanche mio nonno, se fosse ancora vivo e avesse l’azheimer .

Parti. Nel mio caso Malpensa.


_ La Habana
Aeroporto Josè Martì. Scendi. Intanto è umido. Molto ma molto più caldo e umido di quando sei salito. E quello è il primo choc. Il secondo è scoprire che anche qui ci sono i telefoni cellulari. Ce l’ha il mio tassista.
Esci. C’è una Cadillac. O una Buick. O una Triumph. Comunque c’è un taxi americano anni quaranta, forse azzurro e bianco, azul y blanco che ti aspetta.
Sali sul taxi che ti porta all’albergo. Euforia. Gioia. Sei a Cuba. Ci sei. Ci sei. Ci sono i ragazzini seminudi a dirti che sei ai Carabi, latino-america.
Doccia all’albergo poi subito fuori.

“Hey amigo, fatti accompagnare da lei”. Sono le sette e mezzo di sera, sono in un altro continente, in una città che non conosco, non parlo la lingua e la capisco a stento, ma il portiere mi ha già trovato compagnia. Più che una chica (una ragazza), per la verità è una mujer (una donna), considerato che ha già trent’anni. Che a Cuba non sono pochi. Non è nemmeno bella, ma cosa mi frega? Deve solo farmi da guida, no? E mi fa da guida. Facciamo un giro per la città vecchia, comunicare è uno sforzo per entrambi.
Vedo la cattedrale, passegiamo per il Malècon – il famoso lungomare - ci fermiamo alla Bodeguita del Medio, il locale reso leggendario da Hemingway, ovviamente per un Mojihto (lei non beve).

Alla fine le dico che ho letto sulla guida di un posto carino, un locale notturno che si chiama Palermo . Lei risponde che non è il suo prerferito ma mi ci porta.
Entrare al Palermo costa 10$, cioè lo stipendio medio mensile di un cubano. Ma in quel momento io non lo so. So solo che ho una gran euforia addosso. Entriamo.
E lì scopro che io sono un re . Forse perché sono l’unico straniero del locale quella sera. Forse perchè non ho mai visto dei culi così belli. Di sicuro perché gli sguardi di tutte le donne presenti mi sono addosso, aspettando che faccia la mia scelta.
Ma io sono un signore: mi tremano le coronarie e mi voglio gustare la tensione.
[Ho tutto il tempo Ho tutto il tempo Perché essere cafone con la mia accompagnatrice mollandola per un'altra? Stasera ormai resto con lei] penso.

Quando usciamo, un po’ di balli e molte occhiate dopo, è ancora lei che mi riporta all’albergo.
_ “Borrachito borrachito…” mi cinguetta all’orecchio .
Invece non sono per niente ubriaco. E infatti la voglio salutare appena arriviamo. Ci rimane male. Ci rimarrebbe male. Ma io sono in vacanza, io sono appena arrivato a Cuba, io sono euforico perché ho provato l’ebbrezza di essere un re. E un re deve essere magnanimo coi suoi sudditi più sfortunati. Certo, potevo avere molto di meglio. Potevo avere tutti quei culi succulenti del Palermo. Ma proprio per questo, Esulta cortigiana: se proprio vuoi farti trombare il re ti tromba. Cazzo me ne frega.

Ecco, in questo modo io a Cuba ho fatto la scopata più triste della mia vita. Entriamo in albergo. Dieci dollari al portiere perché la facesse salire
_ “ solo mezz’ora mi raccomando”
Venti secondi di effusioni mentre lei beve da una lattina di birra; zip- dentro; fuori; vado a farmi la doccia
_“Bene, prima mi fai un regalo?”
Cosa?
_"Cioè vuoi dei soldi? Cioè… così?"
Tu allora questo schifo di scopata l’hai fatto solo per soldi?
_"Va bene, cosa vuoi, dieci dollari..? Te li do ma tu vai via subito da questa stanza" [che io vado a vomitare]
_"Ho solo un biglietto da venti…"
_“Va bene, venti va bene”
Ecco… sì. Lei è perplessa. Se ne va contenta per i dollari, ma senza capire perché tanta scontrosità da parte mia.
Sono solo in camera, il trono non c’è più ma in compenso ho la nausea.
[Cuba fa schifo, domani prendo l’aereo e vado via]
Credo che i re detronizzati ci rimangano tanto tanto male.
(continua)