Saturday, January 18, 2003

Per essere sinceri, avevo molta paura degli italiani che avrei incontrato a Cuba. E dell’impressione che avrei riportato a casa, riguardo ai miei connazionali nel paese di Bengodi. In realtà ne ho incontrati pochi e con quei pochi ho avuto rapporti molto superficiali, di solito limitati a qualche conversazione, spesso scambiata nel corso degli spostamenti tra città e città. Ci sono però un paio di soggetti che meritano di essere raccontati. Il primo lo incrocio andandomene da Trinidad.

Il coatto
Il Pullman dei ricchi, quello che uso io, viaggia di notte. Percorre tutta l’isola, dall’Avana a Santiago, facendo tappa nelle città principali. Io sto andando a Camaguey. A un certo punto sale un tizio, un bianco ciccione rasato, in tuta mimetica, che mi si siederà accanto. Prima ancora che si sia seduto sento già che parla romanesco. Vorrei far finta di niente, ma se scoprisse che sono italiano e non gliel’ho detto sarebbe imbarazzante. Così mi qualifico io per primo e cominciamo a conversare.

E’ incredibile. Sembra che sia scappato dal set di un film di Carlo Verdone. Una macchietta.
Al polso tiene l’orologio più grande che abbia mai visto, peserà due chili.
_ “Ahò, manda n’segnale al satellite, me possono trovà n’tutto l’mondo. Solo che adesso il satellite è spento. M’aa venduto n’amico mio appassionato d’elettronica pe’n miione”

Sta andando a Ciego de Avila.
_ “Bella Ciego, na bbella città. Ce so tutte ‘e modelle che partono pe’ Cayo Coco

(Cayo Coco è un isolotto, incantevole pare, riservato solo ai turisti stranieri)
A proposito di Ciego de Avila la mia guida dice: “Evitate di fermavi in questa città che non ha assolutamente nulla da offrire.”

_”Sai com’o scelta io Ciego?”
_” Eh, come?”
_ “Perché si chiama Ciego de Avila. E che vor’dì Avila? Aquila. E de n’do so’io? Vivo a Roma ma so’ dell’Aquila”
Praticamente un genio

“Vedi, c’ho n’ po’ de casini ultimamente a Ciego. Perché sò un tipo un po’ così…vedi..me so’ fidanzato co’ du ragazze contemporaneamente”
Uau, ma allora sei veramente un Casanova

“Ahò, te do ‘na dritta: i posti so’ tutti tranquilli, ma tu sta sempre all’occhio. Te devi prende na cosa come la mia… - tira fuori un coltellino a serramanico – Vedi, si te capita na’situazione n’po’ così… tu lo tiri fuori…lo fai vedè..ce cominci n’po’ a giocà…. a me sto gingillo m’ha sarvato più de ‘na volta”
Peccato.

Camaguey
Arrivo alle 4 di notte. Ovviamente non ho un alloggio. Problemi? Neanche uno. Naturalmente ci pensa il tassista. Gli dico che voglio spendere non più di 10 dollari e lui mi porta in una villa nella prima periferia. Trovo il padrone di casa sveglio e ben lieto di accogliermi. Mi dà una camera e mi dice che ci sono due ospiti anche in quella di fianco alla mia. E qui c’è un gioco di coincidenze che mi accompagnerà per tutto il viaggio.
Provate a dire chi è uno di quei due ospiti? Itziàr. Ebbene sì, la spagnola che avevo perso di vista a Trinidad. Com’è piccola Cuba.
Assieme a lei c’è un curioso ragazzo inglese, Stephen, anche lui già incontrato nella cittadina coloniale. Molto timido, poco più che ventenne, lavora in un’industria aeronautica nel suo paese e si sente molto working class. Mi sembra che avesse in programma di girare buona parte del centro-sud america per diversi mesi.
Del mio breve soggiorno a Camaguey, la città delle chiese, non c’è molto da dire. Si può sintetizzare così: un ron consumato alle 10 del mattino, da vero cubano, in un locale da cubani; una visita al parco, a qualche chiesa, sempre con Itziàr e Stephen. Al pomeriggio andiamo al cinema. Danno un film spagnolo, una commediola sentimentale assolutamente innocua. Mi rendo conto che il mio spagnolo, nonostante la pratica, resta abbastanza scarso perché non riesco quasi mai a seguire i dialoghi.

La musica
A Camaguey, parlando con la gente del posto, ho la conferma di due fatti:

1. Buena Vista Social Club, il film di Wenders, a Cuba non è passato. Non è stato proiettato. Tutti sanno che esiste questo film, che ha rilanciato il genere più tradizionale della musica cubana, il Son, ma nessuno l’ha visto.

2. Adesso tutti conoscono i pezzi che vengono suonati nella pellicola: non c’è complessino musicale che si esibisce ai turisti che non suoni Chan Chan, El cuarto de Tula, eccetera. Prima di Wenders, Ibrahim Ferrer, Compay Segundo e compagnia non se li ricordava nessuno.

Il son, mi par di capire, puzza di vecchio. A Cuba i giovani ballano salsa oppure la dance più tamarra. La cosa più incredibile è che la salsa più ascoltata è di importazione dominicana: il cantante che va per la maggiore è Elvis Crespo, praticamente obbligatorio in tutte le sale da ballo. Il rock, in tutti i suoi derivati, è un illustre sconosciuto. Ci può essere qualche timida spruzzata di ragga della vicina Giamaica, o persino di rap, rigorosamente controllato (gli Orishas, ad esempio, sono ammessi dal regime e si sentono parecchio).

A Santiago, entrando in un negozio di musica, ovviamente infarcito di Son dedicato ai turisti, scoprirò che i cd sono carissimi: costano più che da noi. Immagino che gli amici degli amici di Fidel si papperanno anche buona parte dei lauti diritti d’autore che ora piovono da tutto il mondo.
(continua)

Thursday, January 16, 2003

Ai caraibi fino al collo
Sotto Trinidad c’è una zona che è stata per molto tempo il fulcro della produzione di canna da zucchero a Cuba. Ora non è più così, ma comunque la canna si coltiva ancora e gli zuccherifici (ingenios), impiantati nel XIX secolo da profughi francesi in fuga dalla rivolta degli schiavi scoppiata ad Haiti, danno il nome alla valle, detta appunto Valle de los Ingenios. Pare che meriti una visita.

La mia guida (Lonely Planet), dice: “Fortunatamente, anche per coloro che sono privi di proprio mezzo di trasporto, è facile visitare la valle. Il mercoledì, il venerdì e la domenica si effettua un escursione (…) mediante un vagone ferroviario ricostruito”.

Così vado alla stazione. Cioè: entro in un edificio che tutti mi indicano come la stazione e mi ritrovo in un collegio, una scuola, un orfanotrofio, devo ancora capirlo precisamente. Un posto molto diroccato, ma con ampie camerate, che ospita dei ragazzini. Da una breccia nel muro di cinta del cortile si accede alla stazione. Cioè a un tratto di binario, perché non c’è altro, nel quale si fermano i treni. Mi guardo intorno un po’meglio e vedo anche la biglietteria. Bene. Sul binario c’è già il mio vagone. Bene. Solo che non è affatto ricostruito. Infatti, mi dicono i ferrovieri, il treno che sto cercando io è sospeso, ma quello che sta partendo fa lo stesso tragitto. Meglio ancora, sto fuori dall’apartheid turistico. Meglio ancora: il biglietto ha un prezzo cubano, praticamente è gratis.

Poi salgo sul vagone e mi rendo conto di essere un marziano. Per la prima volta ho l’impressione di stare nel terzo mondo. Lo si vede negli arti malformati di alcuni vecchi. Nelle bocche che non hanno mai visto un dentista, nei vestiti poveri, da guajiros (contadini), di parecchi viaggiatori. Anch’io porto vestiti poveri a dire la verità. Ma è lo stile straccione occidentale, che è tutt’altra cosa.

Quando il treno parte mi rendo conto che avrei voglia di vedere gli zuccherifici da fermo. Tanto posso prendermela con comodo, alla caraibica, senza problemi di tempo e con molto spirito d’avventura. E siccome l’unico nome che mi ricordo della guida è l’Azucarero Central, chiedo a una signora che mi siede di fianco se mi sa indicare come ci si arriva. Lei mi risponde che scenderà alla stessa fermata a cui devo scendere io e poi mi indicherà.

Detto fatto, mi ritrovo a margine di una strada battuta dal sole dei caraibi ad aspettare la uaua, il mezzo pubblico dei proletari, insieme a una decina di indigeni. Tutto intorno i campi di caña - la canna da zucchero - la terra rossa, i colori del tropico. Risalta ancora di più, sotto quel sole feroce, la differenza tra la mia pelle diafana e quella tostata dei nativi. Insieme agli stracci colorati che porto addosso mi rende ancora più estraneo a quella situazione.

Per farla breve, lo zuccherificio centrale non è altro che un mastodontico impianto industriale. Quando ci arrivo è tutto fermo. Forse perché non è stagione. O forse perché è domenica. Chiedo ai custodi se si può visitare. Mi guardano come un matto, e probabilmente hanno ragione.

A quel punto decido di rientrare. Muovendosi con quel tipo di trasporto pubblico sarebbe impossibile fare il giro degli zuccherifici storici e poi, detto tra noi, me ne frega vermente poco. Era solo un pretesto per lanciarsi on the road .

E in effetti la cosa bella di questa gita assolutamente inconcludente è la sensazione di essere finalmente ai caraibi fino al collo. L’immagine che mi resta è quella di me in piedi nel cassone di un camion strapieno che avanza rumoroso tra i campi assolati di canna da zucchero e poi arranca sulla salita che porta a Trinidad. L’immagine che mi resta è quella di me che aspetto sotto una tettoia guardando in lontananza se il camion arriva. Che chiedo informazioni sulla direzione giusta da prendere.

Stavolta non ci sono filtri e non ci sono scocciatori. Intorno a me solo gente comune, i mezzi con cui mi muovo sono quelli della gente comune, i tempi sono quelli comuni ai caraibi. Mi dispiace un po’ solo non aver visto il Mirador: l’alta torre che serviva per sorvegliare gli schiavi nelle piantagioni. E poi la figura fatta con quel tipo: dopo avergli chiesto qualche informazione, mi chiede cosa ci faccio lì. Rispondo che sono un turista e alloggio a Trinidad.
_Ah, sì? E quanto spendi per il tuo alloggio?
_ "Quindici dollari"
Un po’ sconcertato: _ “ Ma 15 dollari al mese o 15 dollari al giorno?”
_ “Eehm…15 dollari al giorno”
Ho l’impressione che mi guardi malissimo. Magari non è vero.


Negli immediati dintorni di Trinidad, praticamente alla periferia del borgo, ci sono alcune grotte molto belle. Quelle che ho visto io erano gestite da un grande albergo.

Una è stata trasformata in discoteca ed è semplicemente spettacolare, La Cueva. Dentro, a ballare la dance commerciale, turisti stranieri e cubani ricchi. Dove questi ultimi sono decisamente i peggiori. Maranza fino all’inverosimile. Edonisti e narcisi a livelli che si fa fatica a trovarne anche qui da noi. Agghindati supertrendy. Firmati dal capello alle punte dei piedi. L’unica cosa che li accomuna ai loro compatrioti qualunque è la bravura nel ballo di coppia.

Poi c’è l’altra grotta, che è addirittura mozzafiato. Con 1$ è possibile visitarla con tanto di guida (di una gentilezza squisita, peraltro). Se vi capita di andare a Trinidad ve lo consiglio caldamente.
Un’ultima curiosità a proposito di Trinidad: l’ufficio della polizia di stato non c’è. Che ci crediate o no, a vigilare c’è solo una compagnia di polizia privata. Misteri del socialismo reale.
(continua)

Tuesday, January 14, 2003

Trinidad
L’arrivo a Trinidad è da far west. Pomeriggio. Sole a picco. Stazione dei pullman. Edifici coloniali tutto intorno. Io sono il primo a scendere. Davanti a me, a 50 metri, c’è una corda che due persone tengono tesa. Dietro la corda una massa di indigeni vocianti, con le braccia tese e i cartoncini nelle mani, che si devono aggiudicare il turista appena arrivato. Convincerlo a venire a dormire nella loro casa particular.

Faccio su il mio bagaglio, non aspetto nessuno, e tiro addosso alla folla diretto diretto, con sul viso l’espressione più apatica e indolente di cui sono capace. Appena passata la corda vengo ovviamente sommerso dalla marea urlante, sudante, che mi strattona e mi tira per un braccio per attirare la mia attenzione. Io niente. Tiro dritto come se non esistessero, scuotendo solo leggermente il capo e ripetendo a mezza voce continuamente “No, gracias” . In realtà non so bene cosa ho intenzione di fare, dove ho intenzione di andare. So solo che voglio uscire a tutti i costi da quella calca.
A un certo punto dietro di me sento una voce femminile che dice “Tu ères Davide” . Lì per lì trasalgo. E ovviamente sono fatto. Mi fermo, mi giro, la guardo. E' una donna di mezza età dall'aspetto piuttosto distinto. Mi dice: “Seguimi”. E io la seguo. Ha vinto lei. Sarà lei la mia padrona di casa.

Capisco un attimo dopo come fa a sapere il mio nome: l’impiegata che mi ha venduto il biglietto all’Avana ha telefonato che stavo arrivando. Me lo aveva detto che mi avrebbe trovato da dormire. Ma lei non sapeva che mi sarei fermato a Cienfuegos strada facendo. Quindi questa donna mi sta aspettando da ieri l’altro.

Visitare Trinidad, un must per il turista europeo, è un po’ come andare in Italia a San Gimignano. Solo che anziché in un borgo medioevale, completamente morto e lasciato in eredità ai turisti, sei in un borgo coloniale cinque-seicentesco, quasi completamente morto e lasciato in eredità ai turisti. Però è molto carino, e tre-quattro giorni di soggiorno può meritarli.

Tra l’altro Trinidad è a una decina di chilometri dal mare, e quindi si può unire la visita al borgo storico con la spiaggia e il bagno.
A Trinidad incontro i primi bambini che chiedono insistentemente dei regali. Spesso le scarpe. La cosa mi colpisce perché fino ad ora erano gli adulti ad aver avuto il monopolio della scocciatura e dell’accatonaggio.

Poi incontro Itziàr, una catalana di origine basca, che mi prende in giro perché vado al mare in taxi.
_ “Sei proprio un borghese, io ci vado con la uaua
Non è molto carina, ma in compenso è simpatica. E ha quell’aria cosmopolita che hanno spesso le spagnole, specialmente le catalane. Mi racconta che è arrivata a Cuba con una sua amica e che studia medicina. La sua amica adesso sta girando l’isola con un ragazzo brasiliano che studia all’Avana e che hanno incontrato là, lei è rimasta per conto suo. Per una coppia di italiane sarebbe impensabile.
La perdo di vista quasi subito, ci scambiamo gli indirizzi ma poi non passeremo a trovarci.
Però la sua presa in giro mi ha punto nel vivo, e così mi tocca andare al mare con la uaua anche a me.

La uaua è il mezzo di traporto dei cubani. Praticamente sono dei camion che fanno da corriere di trasporto pubblico. Si aspetta alla fermata finchè non passa il primo, non ci sono orari. Poi si sale nel cassone e si va. Costa pochissimo, delle volte si fa colletta tra tutti o non si paga neanche. Molto pittoresco per uno straniero. E’ una delle poche occasioni che ci sono di assaggiare la Cuba vera, provare vagamente cosa significhi essere cubano.

Quando vedo il mare scendo. La spiaggia è affollata, senonchè, consultando la guida scopro di essere nella zona in cui sfocia il collettore fognario della cittadina. Il libro consiglia di andare qualche chilometro più avanti, dove la spiaggia è più bella e il mare pulito. Proseguo a piedi. Avrò fatto qulache centinaio di metri che mi passano di fianco tre tizi in bicicletta. Due uomini e una donna.

_”Hey amigo, salta su che ti diamo un passaggio” E così mi faccio caricare da uno di loro.
I tre sono marito, moglie e cognato e stanno andando pure loro alla spiaggia.
_”Amigo, come mai sei senza una chica?” _ “Mah, è che qui a Cuba c’è una situazione un po’ particolare…”
_ “Ma mira la chica, no te gusta?” e indica sua moglie.
La poveretta, con un certo imbarazzo, è costretta a sorridermi. Rispondo anch’io con un sorriso imbarazzato
_“Molto carina…” .

Effettivamente era molto carina. Passiamo di fianco a un chiosco lungo la strada, mi chiedono se gli offro da bere. Mi sembra giusto per sdebitarmi del passaggio e lo faccio. Passa un altro chilometro sì e no e siamo arrivati alla spiaggia. C’è un altro chiosco e mi richiedono se gli rioffro da bere. Gli rioffro. Andiamo in spiaggia.

Una delle cose che scopro un po’ imbarazzanti nell’andare sull’arenile in compagnia dei locali, è che tu sei sempre l’unico che ha un telo dove stendersi. In un paese nel quale gli asciugamani sono strettamente razionati, si tratta di un lusso insostenibile.

_ “Amigo, io e mio cognato andiamo su al chiosco dagli amici, voi intanto fate pure il bagno insieme”
A questo punto mi scoccio veramente e vado in mare. La poveretta, fedele alle istruzioni impartitele, fa per seguirmi ma non sa nuotare bene e così, mentre io vado al largo, è costretta a rimanere a riva. Prova a chiamarmi ma non le do retta. Quando riemergo dalle acque, ricompaiono sul bagnasciuga anche il gatto e la volpe.

_ “Abbiamo visto che hai fatto il bagno al largo, la chica non è riuscita a seguirti…”
_” Non c’è problema, il bagno lo faccio da solo grazie”
_” Andiamo a bere qualcosa?” _ “ Ho finito i soldi, amigo. Terminati. Sì sì”
Capendo che non tira più aria per loro salutano e se ne vanno.
(continua)