Per essere sinceri, avevo molta paura degli italiani che avrei incontrato a Cuba. E dell’impressione che avrei riportato a casa, riguardo ai miei connazionali nel paese di Bengodi. In realtà ne ho incontrati pochi e con quei pochi ho avuto rapporti molto superficiali, di solito limitati a qualche conversazione, spesso scambiata nel corso degli spostamenti tra città e città. Ci sono però un paio di soggetti che meritano di essere raccontati. Il primo lo incrocio andandomene da Trinidad.
Il coatto
Il Pullman dei ricchi, quello che uso io, viaggia di notte. Percorre tutta l’isola, dall’Avana a Santiago, facendo tappa nelle città principali. Io sto andando a Camaguey. A un certo punto sale un tizio, un bianco ciccione rasato, in tuta mimetica, che mi si siederà accanto. Prima ancora che si sia seduto sento già che parla romanesco. Vorrei far finta di niente, ma se scoprisse che sono italiano e non gliel’ho detto sarebbe imbarazzante. Così mi qualifico io per primo e cominciamo a conversare.
E’ incredibile. Sembra che sia scappato dal set di un film di Carlo Verdone. Una macchietta.
Al polso tiene l’orologio più grande che abbia mai visto, peserà due chili.
_ “Ahò, manda n’segnale al satellite, me possono trovà n’tutto l’mondo. Solo che adesso il satellite è spento. M’aa venduto n’amico mio appassionato d’elettronica pe’n miione”
Sta andando a Ciego de Avila.
_ “Bella Ciego, na bbella città. Ce so tutte ‘e modelle che partono pe’ Cayo Coco”
(Cayo Coco è un isolotto, incantevole pare, riservato solo ai turisti stranieri)
A proposito di Ciego de Avila la mia guida dice: “Evitate di fermavi in questa città che non ha assolutamente nulla da offrire.”
_”Sai com’o scelta io Ciego?”
_” Eh, come?”
_ “Perché si chiama Ciego de Avila. E che vor’dì Avila? Aquila. E de n’do so’io? Vivo a Roma ma so’ dell’Aquila”
Praticamente un genio
“Vedi, c’ho n’ po’ de casini ultimamente a Ciego. Perché sò un tipo un po’ così…vedi..me so’ fidanzato co’ du ragazze contemporaneamente”
Uau, ma allora sei veramente un Casanova
“Ahò, te do ‘na dritta: i posti so’ tutti tranquilli, ma tu sta sempre all’occhio. Te devi prende na cosa come la mia… - tira fuori un coltellino a serramanico – Vedi, si te capita na’situazione n’po’ così… tu lo tiri fuori…lo fai vedè..ce cominci n’po’ a giocà…. a me sto gingillo m’ha sarvato più de ‘na volta”
Peccato.
Camaguey
Arrivo alle 4 di notte. Ovviamente non ho un alloggio. Problemi? Neanche uno. Naturalmente ci pensa il tassista. Gli dico che voglio spendere non più di 10 dollari e lui mi porta in una villa nella prima periferia. Trovo il padrone di casa sveglio e ben lieto di accogliermi. Mi dà una camera e mi dice che ci sono due ospiti anche in quella di fianco alla mia. E qui c’è un gioco di coincidenze che mi accompagnerà per tutto il viaggio.
Provate a dire chi è uno di quei due ospiti? Itziàr. Ebbene sì, la spagnola che avevo perso di vista a Trinidad. Com’è piccola Cuba.
Assieme a lei c’è un curioso ragazzo inglese, Stephen, anche lui già incontrato nella cittadina coloniale. Molto timido, poco più che ventenne, lavora in un’industria aeronautica nel suo paese e si sente molto working class. Mi sembra che avesse in programma di girare buona parte del centro-sud america per diversi mesi.
Del mio breve soggiorno a Camaguey, la città delle chiese, non c’è molto da dire. Si può sintetizzare così: un ron consumato alle 10 del mattino, da vero cubano, in un locale da cubani; una visita al parco, a qualche chiesa, sempre con Itziàr e Stephen. Al pomeriggio andiamo al cinema. Danno un film spagnolo, una commediola sentimentale assolutamente innocua. Mi rendo conto che il mio spagnolo, nonostante la pratica, resta abbastanza scarso perché non riesco quasi mai a seguire i dialoghi.
La musica
A Camaguey, parlando con la gente del posto, ho la conferma di due fatti:
1. Buena Vista Social Club, il film di Wenders, a Cuba non è passato. Non è stato proiettato. Tutti sanno che esiste questo film, che ha rilanciato il genere più tradizionale della musica cubana, il Son, ma nessuno l’ha visto.
2. Adesso tutti conoscono i pezzi che vengono suonati nella pellicola: non c’è complessino musicale che si esibisce ai turisti che non suoni Chan Chan, El cuarto de Tula, eccetera. Prima di Wenders, Ibrahim Ferrer, Compay Segundo e compagnia non se li ricordava nessuno.
Il son, mi par di capire, puzza di vecchio. A Cuba i giovani ballano salsa oppure la dance più tamarra. La cosa più incredibile è che la salsa più ascoltata è di importazione dominicana: il cantante che va per la maggiore è Elvis Crespo, praticamente obbligatorio in tutte le sale da ballo. Il rock, in tutti i suoi derivati, è un illustre sconosciuto. Ci può essere qualche timida spruzzata di ragga della vicina Giamaica, o persino di rap, rigorosamente controllato (gli Orishas, ad esempio, sono ammessi dal regime e si sentono parecchio).
A Santiago, entrando in un negozio di musica, ovviamente infarcito di Son dedicato ai turisti, scoprirò che i cd sono carissimi: costano più che da noi. Immagino che gli amici degli amici di Fidel si papperanno anche buona parte dei lauti diritti d’autore che ora piovono da tutto il mondo.
(continua)
Il coatto
Il Pullman dei ricchi, quello che uso io, viaggia di notte. Percorre tutta l’isola, dall’Avana a Santiago, facendo tappa nelle città principali. Io sto andando a Camaguey. A un certo punto sale un tizio, un bianco ciccione rasato, in tuta mimetica, che mi si siederà accanto. Prima ancora che si sia seduto sento già che parla romanesco. Vorrei far finta di niente, ma se scoprisse che sono italiano e non gliel’ho detto sarebbe imbarazzante. Così mi qualifico io per primo e cominciamo a conversare.
E’ incredibile. Sembra che sia scappato dal set di un film di Carlo Verdone. Una macchietta.
Al polso tiene l’orologio più grande che abbia mai visto, peserà due chili.
_ “Ahò, manda n’segnale al satellite, me possono trovà n’tutto l’mondo. Solo che adesso il satellite è spento. M’aa venduto n’amico mio appassionato d’elettronica pe’n miione”
Sta andando a Ciego de Avila.
_ “Bella Ciego, na bbella città. Ce so tutte ‘e modelle che partono pe’ Cayo Coco”
(Cayo Coco è un isolotto, incantevole pare, riservato solo ai turisti stranieri)
A proposito di Ciego de Avila la mia guida dice: “Evitate di fermavi in questa città che non ha assolutamente nulla da offrire.”
_”Sai com’o scelta io Ciego?”
_” Eh, come?”
_ “Perché si chiama Ciego de Avila. E che vor’dì Avila? Aquila. E de n’do so’io? Vivo a Roma ma so’ dell’Aquila”
Praticamente un genio
“Vedi, c’ho n’ po’ de casini ultimamente a Ciego. Perché sò un tipo un po’ così…vedi..me so’ fidanzato co’ du ragazze contemporaneamente”
Uau, ma allora sei veramente un Casanova
“Ahò, te do ‘na dritta: i posti so’ tutti tranquilli, ma tu sta sempre all’occhio. Te devi prende na cosa come la mia… - tira fuori un coltellino a serramanico – Vedi, si te capita na’situazione n’po’ così… tu lo tiri fuori…lo fai vedè..ce cominci n’po’ a giocà…. a me sto gingillo m’ha sarvato più de ‘na volta”
Peccato.
Camaguey
Arrivo alle 4 di notte. Ovviamente non ho un alloggio. Problemi? Neanche uno. Naturalmente ci pensa il tassista. Gli dico che voglio spendere non più di 10 dollari e lui mi porta in una villa nella prima periferia. Trovo il padrone di casa sveglio e ben lieto di accogliermi. Mi dà una camera e mi dice che ci sono due ospiti anche in quella di fianco alla mia. E qui c’è un gioco di coincidenze che mi accompagnerà per tutto il viaggio.
Provate a dire chi è uno di quei due ospiti? Itziàr. Ebbene sì, la spagnola che avevo perso di vista a Trinidad. Com’è piccola Cuba.
Assieme a lei c’è un curioso ragazzo inglese, Stephen, anche lui già incontrato nella cittadina coloniale. Molto timido, poco più che ventenne, lavora in un’industria aeronautica nel suo paese e si sente molto working class. Mi sembra che avesse in programma di girare buona parte del centro-sud america per diversi mesi.
Del mio breve soggiorno a Camaguey, la città delle chiese, non c’è molto da dire. Si può sintetizzare così: un ron consumato alle 10 del mattino, da vero cubano, in un locale da cubani; una visita al parco, a qualche chiesa, sempre con Itziàr e Stephen. Al pomeriggio andiamo al cinema. Danno un film spagnolo, una commediola sentimentale assolutamente innocua. Mi rendo conto che il mio spagnolo, nonostante la pratica, resta abbastanza scarso perché non riesco quasi mai a seguire i dialoghi.
La musica
A Camaguey, parlando con la gente del posto, ho la conferma di due fatti:
1. Buena Vista Social Club, il film di Wenders, a Cuba non è passato. Non è stato proiettato. Tutti sanno che esiste questo film, che ha rilanciato il genere più tradizionale della musica cubana, il Son, ma nessuno l’ha visto.
2. Adesso tutti conoscono i pezzi che vengono suonati nella pellicola: non c’è complessino musicale che si esibisce ai turisti che non suoni Chan Chan, El cuarto de Tula, eccetera. Prima di Wenders, Ibrahim Ferrer, Compay Segundo e compagnia non se li ricordava nessuno.
Il son, mi par di capire, puzza di vecchio. A Cuba i giovani ballano salsa oppure la dance più tamarra. La cosa più incredibile è che la salsa più ascoltata è di importazione dominicana: il cantante che va per la maggiore è Elvis Crespo, praticamente obbligatorio in tutte le sale da ballo. Il rock, in tutti i suoi derivati, è un illustre sconosciuto. Ci può essere qualche timida spruzzata di ragga della vicina Giamaica, o persino di rap, rigorosamente controllato (gli Orishas, ad esempio, sono ammessi dal regime e si sentono parecchio).
A Santiago, entrando in un negozio di musica, ovviamente infarcito di Son dedicato ai turisti, scoprirò che i cd sono carissimi: costano più che da noi. Immagino che gli amici degli amici di Fidel si papperanno anche buona parte dei lauti diritti d’autore che ora piovono da tutto il mondo.
(continua)