Wednesday, February 19, 2003

La Habana, otra vez
Per riprendere l’aereo e ripartire torno all’Avana.
Della mia seconda volta all’Avana, in tutto 1 giorno e mezzo, posso raccontare due cosette.

La prima è un episodio marginale. A un certo punto, nel quartiere dove alloggio, al Vedado, in una zona residenziale di ville con giardino, passo di fianco a una carcassa di auto (una rarità: non ne ho mai visto altre abbandonate ai margini delle strade) e noto che sulla carrozzeria ci sono delle scritte pro-Eta e pro-Ira, i terroristi baschi e quelli irlandesi. Al chè mi torna in mente che Itziàr mi ha raccontato che Cuba ospita alcuni terroristi baschi dell’Eta. E che lei ha addirittura parlato con uno di loro, recandosi in un posto che si chiama Centro Vasco. Decido di andare a vedere che posto sia. Lo trovo indicato su una guida e mi ci reco. Scopro che non è altro che un ristorante. Mi dicono che si chiama così perché il vecchio padrone era basco. Comunque in quel momento è deserto e di connazionali dell’ex proprietario, terroristi o no, non trovo nemmeno l’ombra.

La seconda cosa è più divertente: incontro il secondo italiano che vale la pena di citare.
Sono davanti a un chiosco che vende le più belle pizze al taglio che mi sia capitato di vedere da quando sono qui. Improvvisamente da dietro mi sento battere sulla spalla
_“Ehi amigo, es bueno pizza aquì?”
_”Sei italiano vero?”
_ “Sì, sono di Ferrara. Anche se vivo qui”
_”Ah, ma dai, io sono di Modena..”
_”Guarda che qui la pizza non è buona, è molto meglio lì più avanti, ti ci porto io”
Assieme a lui c’è un ragazzo di colore, inequivocabilmente agghindato da ragga boy , con dredlocks, berrettino coi colori giamaicani eccetera.
Parliamo e mi racconta che si chiama Francesco, che ormai vive sei mesi in Italia e sei mesi a Cuba ma ha in programma di trasferirsi qua tutto l’anno. Si sta per sposare con una cubana. In Italia lavora in uno zuccherificio ma se riesce a vendere la casa e l’automobile, coi soldi che ha da parte smette e resta sempre ai caraibi. Magari si mette ad affittare l’ appartamento supplementare che ha fatto costruire nella sua nuova casa a Santiago.
_” E come sei messo qui all’Avana, hai bisogno di un alloggio bello a poco prezzo, posso trovartelo..”
_ “No, guarda domani ho l’aereo e ritorno a casa”
_ “Ah stai per tornare in Italia. Guarda, se devi qualche regalino, lui ha dei sigari originali veramente buoni” – e mi indica il ragga
_”Mah.. i sigari mi interessano poco…”
_” Guarda che sono veramente sigari originali, a un prezzo che se anche li rivendi fai un affare, cioè…lo dico per te..”
_”Guarda, sono praticamente senza soldi, parto domani perché li ho finiti”
A quel punto getta la maschera e confessa di essere uno che fa quel mestiere lì: cerca italiani per offrirgli una casa o quant’altro e si becca le solite commissioni. Fa un mestiere che di solito è riservato ai cubani.

_” Mah, cosa vuoi, sono qui all’Avana per affari burocratici, non dovrei neanche lavorare, lo faccio soprattutto per lui.” (il rasta) “Poveraccio, è rimasto senza casa, dorme alla stazione dei pullman”

Nel mio piccolo una mano gliel’ho data: sicuramente si è beccato le commissioni sulla pizza al taglio che mi hanno portato a mangiare dove dicevano loro. Che sicuramente era peggio di quella che stavo per addentare io nel chiosco dove mi hanno agganciato.

A quel punto voglio divertirmi e mi aggrego a loro per vederli “lavorare”. Fa veramente ridere: gironzolano per le strade di Habana centro e Habana vieja cercando di individuare gli italiani, poi Francesco si avvicina e fa finta che gli sfugga una parola in italiano. Se il pollo risponde è agganciato. E allora le presentazioni, un po’ di confidenza, fino al - ti serve una casa - cerchi un ristorante - sigari originali?

Contemporaneamente a tutto ciò, il nostro eroe, italiano fino al midollo, ci prova anche con le habanere che incontriamo per strada: lo vedo combinare almeno tre appuntamenti diversi, per quello stesso giorno, all’ora di cena.

Nel tardo pomeriggio ci fermiamo in un bar e lì mi racconta qualcuna delle sue storie di intrallazzatore italiano di piccolo cabotaggio trasferito a Cuba.
Vive nell’isola da anni con un visto da studente, iscritto a non so quale corso dell’università. Ha vissuto in diversi posti: si era stabilito all’Avana ma poi si è trasferito a Santiago perché l’aria si stava facendo pesante. Pare che ai mediatori autoctoni non piacesse la concorrenza straniera. Nell’est le cose sono un po’ più facili: ha trovato un francese e un danese coi quali va in giro a fare le stesse scenette che oggi recita col ragga boy.
_”Insieme copriamo tutte le principali lingue turistiche”

Hanno provato anche a fare qualche traffico con la Giamaica, con scarso successo.
Tutto sommato penso che abbia ragione quando dice: _”Io ti offro un servizio. Tu vieni qua, hai bisogno di una casa in affitto, io te la trovo. E te la trovo come vuoi tu, da quella più economica alla villa con piscina, ti faccio spendere quello che mi dici tu. Stessa cosa per il ristorante e tutto il resto, che male c’è se ci guadagno qualcosa?”

L’ultima noche cubana dove la spendo a Las Vegas sperando di rivedere lei, Yarianne (ricordate?). E infatti c’è. Mi saluta, parliamo, balla un po’ con me strusciandosi come la prima sera, ma è tutto diverso. Quella notte starà quasi tutto il tempo con la sua compagnia di amici cubani e se ne andrà a casa assieme a uno di loro.

Infine, l’ultima sorpresa del viaggio: chi ci trovo anche nella discoteca? (ri-ri-giuro!)
La mia jinetera/guida della prima sera.
Se fosse un film direi: banale.
La cosa particolare è che mi riconosce lei e vedendomi un po’ giù, mi offre anche una birra. Simpatico a volte il destino. Un po’ come le persone.

Alcune opinioni e considerazioni finali
La cosa di Cuba che dà più angoscia è la miseria morale nella quale sono costretti a dibattersi gli abitanti. Badate bene: non la miseria materiale. Da quel punto di vista il mondo, soprattutto a queste latitudini, conosce ben di peggio. Ma l’essere prigionieri in un paese nel quale chi lavora guadagna dagli 8 ai 20 dollari mensili e chi sta addosso ai turisti quei soldi può farli su in mezz’ora, è una cosa ripugnante. L’impressione che ho avuto è quella di una società tremendamente segnata da quest’ingiustizia. C’è mezza Cuba che si getta nelle braccia di qualsiasi straniero, convinta che lavorare sia una cosa senza senso e che l’Europa e gli Stati Uniti siano una specie di Disneyland nella quale si vive facendo shopping. Il loro sogno proibito è gettarsi in un ipermercato insieme a una VISA senza limiti di spesa. Poi c’è l’altra mezza Cuba, di solito altrettanto disillusa, ma che prova a conservare un po’ di dignità. Che non salta addosso ai turisti. Ma che osserva la situazione con una certa rabbia interiore. Quanta sia questa rabbia e a cosa possa portare, non saprei proprio dirlo.

Io non dubito che siano stati i giganteschi errori - chiamiamoli così con un eufemismo - del governo americano a spingere Castro tra le braccia dei sovietici. Io non dubito che la creazione di un sistema sanitario e di un sistema scolastico accessibili a tutti, in un paese del centro-sud america, siano stati una grande conquista sociale.
Io non dubito insomma che questa rivoluzione sia stata una grande speranza per molti. Io non dubito che avesse in sé dei forti contenuti libertari e di progresso.
Ma proprio per questo occorre dire - e occorre dirlo forte e chiaro - che questo regime è una gigantesca merda. Che si nasconde dietro il nazionalismo e dietro l’embargo americano. Che fa della delazione, del ricatto e del carcere gli strumenti privilegiati del controllo sociale.

I piccoli particolari
I ricordi sono fatti anche dai piccoli particolari, le minuterie che trovi in un posto.

Il caffè dolce: sempre. Per i cubani è molto strano che tra gli europei ci sia chi lo vuole bere amaro.
Le scuole elementari: sono sempre al piano terra degli edifici. Spesso porte e finestre sono aperte. Chiunque passa guarda dentro. Più pubblica di così la scuola non potrebbe essere.
Il domino: sui tavolini nelle piazze o in quelli dei bar non si gioca a carte, si gioca a domino.
La boxe e il baseball: i due sport nazionali. A Baracoa ho visto un incontro di baseball allo stadio (senza capirci niente come al solito) e una manifestazione nella quale diversi pugili si alternavano su un ring che era montato in piazza.
Il presentatore della “Casa della Trova” di Baracoa: scusa se non ti ho mandato le pile per per il tuo puntatore laser: è che ho perso il tuo indirizzo! (una delle persone più simpatiche che abbia conosciuto a Cuba)

Sono stato a Cuba tra il 15 maggio e il 14 giugno dell’anno 2000

http://diariodicuba.blogspot.com

Sunday, February 16, 2003

Il Caso Eliàn
Il mio viaggio si è svolto in pieno caso Eliàn.
Si tratta di una vicenda emblematica di come il potere non si faccia scrupolo di appropriarsi di vicende private, anche molto dolorose, per assecondare i suoi scopi.
Riassumo brevemente i fatti per coloro che non li conoscono o li hanno dimenticati.

Un gruppo di cubani, tra cui una madre con il suo bambino tenta di espatriare clandestinamente negli Stati Uniti via mare, come succede abitualmente. La madre muore durante il difficile viaggio, tutti gli altri vengono tratti in salvo nelle acque territoriali americane e portati a Miami. A questo punto il padre del bambino, che era rimasto a Cuba, chiede che gli sia restituito suo figlio. Senonchè a Miami, presunti lontani parenti della famiglia, esuli anticastristi, si oppongono alla richiesta e scatenano i loro legali per averne l’affidamento e impedire che il ragazzino torni a Cuba.

Immediatamente, quella che era una vicenda strettamente privata diventa un caso politico. Castro, che se ne serve per mettere in difficoltà il governo americano, minaccia fuoco e fiamme, organizza manifestazioni oceaniche con lo slogan “Devuelvan a nuestro niño” – Ci restituiscano il nostro bambino. (nostro? nda)

Gli esuli anticastristi lo usano per le stesse ragioni, però speculari: rilanciare la loro causa e guadagnare visibilità. La cosa si trascinerà per diversi mesi e si concluderà poco dopo il mio rientro in Italia.

In questo modo: quando il tribunale ordinerà definitivamente la restituzione del bimbo al padre, i parenti si barricheranno in casa, facendola anche circondare dagli anticastristi di Miami e cercando di resistere all’ordinanza. Ci vorrà un blitz della polizia, ordinato da Clinton in persona, per sbloccare la situazione. Senonchè, la foto di un poliziotto in tenuta antisommossa, che da pochi passi punta il mitra contro un parente che tiene in braccio Eliàn, per strapparglielo, e la faccia atterrita del piccolo, faranno il giro del mondo.

Ancora un paio di aneddoti
A proposito del sistema sanitario gratuito, posso citare questo episodio: sono in taxi che sto andando alla Bahia de mata (un posto incantevole: villaggio sul mare di pescatori rigorosamente testimoni di Geova). A un certo punto passiamo accanto a un ospedale, una signora fa segno, il taxi si ferma e carica un uomo dolorante, che avrebbe bisogno di stare sdraiato. Questo ovviamente è impossibile, e così lo adagiamo sul sedile dove c’è più posto, quello davanti.
_ “Ahi ahi me mataròn, me mataròn” . Si lamenta. E’ stato appena dimesso dall’ospedale, dove l’hanno operato d’ernia. Piccolo particolare: senza anestesia. Non c’era.

A Cuba può capitare che alcune persone, anche incontrate per caso, ti chiedano un favore per loro molto importante: ti consegnano delle lettere e ti chiedono di imbucarle dal tuo paese. Evidentemente vogliono evitare che qualcuno possa scuriosare tra i contenuti e magari chiedergliene conto. Aiutarli è un dovere morale, e infatti porto in valigia diverse lettere consegnatemi, che spedirò dall’Italia. A Baracoa però mi capita questa cosa: entro all’ufficio postale, probabilmente per comprare alcuni francobolli. Al momento di pagare l’impiegata, sottovoce, mi chiede se posso impostare alcune lettere per lei dall’Italia. Le rispondo di sì. “Sono lettere per il Canada - mi dice- quanto tempo impiegheranno?” Rispondo che non lo so.
“E’ molto lontano il Canada dall’Italia?”
Mi viene da sorridere
_“Sì, è molto lontano”
_“Ma più o meno che da qui all’Avana?”
Di più, di più.


L'embargo (come lo vedo io)
Il presidente Nordamericano potrebbe raccontarlo più o meno così:

“Cari americani, popolo eletto, noi diffondiamo in tutto il mondo i nostri valori. Che sono la libertà di parola, pensiero, stampa, eccetera. E il libero mercato.
Che si può riassumere così: le nostre mega-corporation vanno in giro per il mondo a fare il bello e il cattivo tempo e se a qualcuno non va bene, gli spediamo i nostri boys in divisa, che sono il vanto della libertà mondiale.
A Cuba ci abbiamo provato senza successo. Ma noi siamo dei duri e quindi non molleremo mai. Gli impediamo ogni transazione commerciale con noi e i nostri alleati e vietiamo alle istituzioni finanziarie internazionali tipo FMI, di fargli credito.
Perciò, siccome sono un vero duro e voi non potete che approvare la mia condotta, votatemi.
Oppure votate il mio avversario, che tanto dice esattamente le stesse cose.

Il presidente cubano, pardon: el comandante en jefe – il comandante in capo – come si fa sobriamente chiamare, invece, lo immagino con queste parole:

Cari cubani, popolo eletto, con grande eroismo e sacrificio il nostro popolo ha conquistato la libertà. Ma i porci imperialisti non demordono e continuano a volerci imporre la loro volontà. Anche noi però siamo tenaci nel difendere i nostri valori. Che sono il socialismo e la giustizia.
Che si possono riassumere così: voi non potete fare niente se non vi do il permesso io. Perché se no siete controrivoluzionari e vi sbatto dentro.
A causa delle nostre idee, gli americani ci impediscono di fare ogni transazione con loro e i loro alleati. Quindi ricordatevi che ogni cosa che manca, è colpa degli americani. Se non fosse per l’embargo qui sarebbe il paradiso e noi tutti vivremmo come pascià.
Comunque, siccome siamo dei veri duri e voi non potete che approvare la mia condotta, non cederemo mai.
Potete anche non votarmi, tanto le elezioni sono 50 anni e passa che mi dimentico di indirle.

(Come faremmo a vivere senza i grandi leader che si prendono cura di noi?-nda)
(continua)