Wednesday, February 05, 2003

Ancora Jacqueline
Capirò solo dopo che ho fatto una cazzata. Ma lì per lì sono furioso e non mi rendo conto delle conseguenze. La cosa più strana è che neanche Jacqueline si rende conto, e mi segue serenamente
Prima sorpresa: anche nel centro di Baracoa, come a Trinidad, di notte rimane solo un agente della polizia privata.
Seconda sorpresa: dopo tre minuti dal nostro arrivo, si presenta anche l’altra ragazza, quella che ha scatenato tutta la vicenda. Il poliziotto la conosce, la chiama per nome, Marìsol .
E in un attimo Jacqueline passa dal banco degli accusatori a quello degli accusati. Marìsol dice che la conosce, che è una prostituta di Moa e che è senza documenti.
L’agente è molto cauto, cerca di minimizzare il tutto. Quasi la implora che non lo costringa a chiamare la polizia, quella vera. Quella di stato. Ma lei è irremovibile, vuole denunciare tutto.
A quel punto il nostro agente privato ci congeda e dice che chiamerà la polizia. Senza capire bene cosa sta succedendo, ma molto perplessi, noi torniamo verso casa. Troviamo i miei affittuari seduti sui gradini della porta. Spiego loro cos’è successo e vengo ovviamente rimproverato, pittosto bonariamente a dire il vero, per essere uscito di casa nonostante le raccomandazioni. Mi sembrano preoccupati, pur nell’apparente tranquillità.

Infatti Jacqueline sta ancora raccontando la sua versione dei fatti, che dal fondo della strada spunta un poliziotto, in compagnia di Marìsol. La avvicina, le chiede cortesemente i documenti. Lei dice che non li ha.
_ “Allora signorina, mi deve seguire”
E tutti e tre si allontanano tranquillamente, che sembra stiano facendo una passeggiata.

Il giorno dopo, mentre ancora rimugino su tutto quello che è successo si presenta a casa un tizio che si qualifica come ufficiale di polizia. La padrona di casa lo accoglie con un: “Mi aspettavo una vostra visita”. Il tizio la informa che durante l’interrogatorio di una ragazza fermata in questa via perché priva di documenti, è emerso che si trattava di una prostituta che era entrata irregolarmente in questo alloggio e aveva dormito con un turista, benchè priva di documenti. Essendo io il turista, viene chiesta la mia versione dei fatti.

Io dichiaro che la ragazza era entrata solo un attimo nel corridoio e che due sconosciuti avevano immediatamente cominciato a picchiare alla porta senza motivo. Svegliatisi i padroni di casa, questi avevano fatto uscire la mia ospite in quanto priva del carnet d’identità. In ogni caso, mi preoccupo di dire, sperando con questo di aiutare Jacqueline, che non si trattava assolutamente di una prostituta, perché in nessun momento mi aveva chiesto del denaro, né aveva motivo per farlo.

Piccola digressione sui documenti. Le case particular, sempre per il regime di apartheid di cui ho già avuto modo di parlare, sono riservate agli stranieri. E’ permesso al turista di ospitare un cubano, purchè la sua presenza venga registrata su un apposito modulo, dietro fornitura di un documento di identità. La polizia controlla periodicamente i registri e quando trova il nome di una ragazza che si è fermata con troppi turisti diversi nel giro di troppo poco tempo, questa viene classificata come prostituta. Quindi le jinetere non portano mai documenti con loro. Fine della digressione.

Insomma, i miei padroni di casa vengono considerati responsabili della mancata registrazione di un’ ospite del turista. E per questo viene loro comminata una sanzione di 200 $. La cosa li manda nel panico. Cercano di convincermi che siccome la colpa di quanto è successo è mia, sono io che dovrei pagare.

Di diverso avviso sono i miei amici cubani, sia Manuel e Henry che il pescatore. Mi dicono tutti: “La multa l’hanno fatta a loro e non a te. Piuttosto cambia casa ma non pagare nulla.”

Effettivamente è innegabile che la responsabilità di quanto è successo sia mia, ma a me di pagare questa multa non mi va proprio. Così racconto a me stesso che tutto sommato quello che è successo rientra nei rischi di gestire una casa particular, e a loro che io quei soldi non ce li ho. Inizialmente si incazzano. Mi dicono che loro duecento dollari non li hanno neanche loro, che non sanno dove prenderli. Poi si rassegnano e cominciano a consultarsi col loro avvocato.

Una piccola digressione anche sull’avvocato. Una mattina di qualche giorno prima rispetto a questi fatti (giuro!)mi alzo da letto e vado a fare colazione in cucina. Trovo i due prof. seduti a tavola con una persona che mi presentano come il loro avvocato. Per fare una battuta dico: _ “Ah bene, un avvocato. Così se mi capita qualcosa ci pensa lei a difendermi.”
Pronta la sua risposta: “Non succederà niente”. Fine della digressione sull’avvocato.

Quel pomeriggio, quando esco di casa mi accorgo di avere un succhiotto sul collo. Ora: i succhiotti sono indiscreti, e averne uno sul collo può non essere una cosa molto simpatica neanche da noi. Ma a Cuba, vi garantisco, è un' autentica calamità. Non posso camminare tra la gente senza sentire i risolini e vedere i bisbiglii all’orecchio dopo che hanno indicato col dito il mio collo. I commenti ad alta voce si sprecano: “Hey amigo, hai incontrato una vampira?” Poche volte nella vita sono stato così imbarazzato. E a disagio. Arriverò a camminare col collo piegato da una parte per cercare di mascherare la cosa.

La sera sono di nuovo al Paraiso
_ “Que chica te llevas por la noche?”
_ „Boh. Non so. Cioè, non ho deciso se anche stasera...”
_ “Portame con tigo”
_ “E’ che vedi, ieri sera m’è capitato che…”
_” Ma quella era una di fuori, una strana. Io sono di Baracoa, con me non ti devi preoccupare. Portami con te”
_ “Mah…boh, bè….va bè”

Sei sulla strada per casa, di ritorno dalla nottata. Saranno le quattro. A Baracoa c’è solo silenzio nelle stradine del centro. Di fianco a te una mulatta molto carina. Ma ecco che il demone del moralismo si rifà vivo in me:
_ “Non è tanto giusto che io ti porti a casa. Se non avessi soldi tu non verresti con me”
_ “No non è vero, vengo con te per i tuoi occhi. Per i tuoi muscoli”

Ecco. Passi per gli occhi. Ma i muscoli poteva proprio evitarseli. Penso di avere i muscoli più asfittici della cittadina. Bugiarda! Mente, e come spesso fanno i cubani lo fa in modo spudorato. Non credibile. Lì per lì penso: “Stronza. Capisco che sei puttana, lo so. Ma non mi riservi proprio un briciolo di simpatia in più che a qualsiasi altro”. La cosa mi urta. Perché ognuno di noi, nel suo desiderio di unicità, vorrebbe che gli si riservasse qualcosa di più che agli altri. E davanti a me si prospetta la notte con una che tutte le notti le passa con uno straniero diverso.

Va bè d’accordo: il sesso ce l’ho in testa. Mi piace molto. Esattamente come al 90% della popolazione mondiale. Ma proprio per questo: ne va della mia dignità di sessuomane. Sì, perché se sei un vero sessuomane sai che il sesso è bello se c’è pathos. Se è espressione di ricerca d’intimità, di contatto. E’ il desiderio che gli dà valore. Sennò è povertà. E’ orgasmetto. E’ tristezza. Il sesso fatto con chiunque, meccanicamente, pura esigenza fisiologica, è come mangiare l’esterno dell’ anguria e lasciare lì il tassello.
Cioè: non sei proprio un buongustaio.

Quindi rinuncio. Adesso rinuncio. Però vorrei potermi incazzare. Vorrei incazzarmi perché a Cuba sono tutti bugiardi. Vorrei incazzarmi perché non sanno neanche raccontarle, le bugie. Vorrei incazzarmi perché avevo voglia di scopare. Ma siamo sempre lì: come fai a incazzarti in un posto dove chi lavora guadagna 10 dollari al mese? Quante bugie racconterei io se vivessi in un paese così? Ma se mi porto in camera questa qui sarà tutto tremendamente triste come la prima sera all’Avana. E io piuttosto che rifare quella cosa là prendo l’aereo e torno a casa. Rinuncio.

_ “Senti, ho cambiato idea. Non è giusto che ti porti con me. Lasciamo perdere, non mi va. Vado a casa da solo.”
A questo punto ci rimane male lei. Prova a convincermi ma non desisto.
_ “Almeno offrimi un pacchetto di sigarette.”
Transazione accettata volentieri. Un pacchetto di sigarette costa 50 centesimi di dollaro. Lo compro al chiosco del Rumbo, che tiene aperto 24 ore su 24.
(continua)