Friday, January 24, 2003

Alla foce dello Yumurì
Bisogna festeggiare questo nuovo gruppo informale ed estemporaneo che si è formato. Benjamin, che è il più intraprendente, organizza una grigliata alla foce dello Yumurì, un fiume che scorre dentro una pittoresca valle ad alcune decine di chilometri dalla nostra cittadina.

Per raggiungere il posto occorre fare un ultimo tratto a nuoto. Però ne vale nettamente la pena. Il posto è splendido.

A un certo punto arrivano i cuochi con un maialino da arrostire. Solo che è vivo. Il malcapitato viene sgozzato sul posto, dissanguato, depilato alla meglio e impalato e arrostito a fuoco lento per un paio d’ore. Alla fine viene sventrato e riempito di riso. A questo punto ce lo mangiamo. Siccome non abbiamo piatti, né posate, né stoviglie,ce lo mangiamo con le mani, da selvaggi. Avvolto al massimo dentro le foglie di palma, che fanno da supporto. Ogni tanto attaccato alla pelle si trova ancora qualche pelo. Ma non è il caso di fare i difficili, che lo facciamo già i restanti 11 mesi e mezzo l’anno, in Europa e Nord America.

Il restante tempo lo trascorriamo ovviamente tra bagni, chiacchiere e risalendo la valle ai bordi del fiume, in mini escursioni. Nonostante la babele di lingue ci capiamo piuttosto bene. Da notare che a dominare non è l’inglese, sono il francese e lo spagnolo. E per la prima volta mi tocca vedere gli anglofoni che si adattano a parlare un’altra lingua: fa un certo effetto vedere due americani (assolutamente wasp) che parlano spagnolo anche tra di loro. Mi diranno poi che in certi ambienti, oggi come oggi, fa molto tendenza.

Provate a dire di cosa si parla tra maschi? Del fatto che le cubane ci stanno così facilmente che poi alla fine chiedono sempre dei soldi. Sempre. Questa cosa l’hanno toccata tutti e ha scandalizzato tutti. Quando torneremo a casa racconteremo anche noi ai nostri amici la favola che le cubane ci stanno in cambio di una cena e di una maglietta? O la smetteremo di dire cazzate e riferiremo la cruda verità?

Scopro che l’amica di Itziàr non sta col brasiliano, viaggiano solo insieme. Le spagnole sono troppo avanti. E infatti, tornati a Baracoa, riesco a portarla fuori a cena. A tavola discutiamo di politica. Lei è molto comunista, ma siccome è di Barcellona, ho buon gioco nel citarle la CNT (il sindacato anarchico), la grande spinta idealistica del 36 naufragata con la guerra civile, i torti degli stalinisti, le ragioni delle concezioni etiche antiautoritarie dei libertari. E’ il mio piccolo capolavoro. Praticamente la convinco delle mie ragioni nello spazio di un pasto. Mi guarda con ammirazione, si vede. Però il mio vero obiettivo - Bakunin mi perdoni - era un altro (provate a dire quale..). E lì non va.

Americani
E’ noto che i cubani nella loro isola sono prigionieri. Ma che dire degli americani, che per venire a Cuba legalmente devono essere esplicitamente autorizzati a farlo dal loro governo? Anzi: per la verità, tecnicamente, per un cittadino degli Stati Uniti d’America venire a Cuba non è vietato. E’ vietato spenderci soldi. A meno di non avere la famosa autorizzazione.

Tra gli Yanqui che ho conosciuto io, solo la ragazza l’aveva. Gli altri due, quando torneranno, in base alla legge Helms-Burton (approvata dal presidente Clinton), potrebbero incorrere in multe fino a 50.000$ e all’eventuale confisca delle proprietà personali. Se le autorità saranno clementi. Perché diversamente, in base al Trading with the Enemy Act (Decreto sul Commercio con il Nemico) potrebbe scapparci anche l’arresto e la reclusione fino a 10 anni sommata a ulteriori sanzioni fino a 250.000$. Mi dicono i due ragazzi che fino ad ora non risulta che nessuno sia stato incarcerato. Qualcuno è incorso nelle sanzioni pecuniarie.

Gli americani che vengonoa Cuba, di solito, lo fanno a proprio rischio e pericolo. Partendo dal Canada o dal Messico, paesi che invece hanno un rapporto privilegiato con l’isola. Siccome il governo americano vieta l’accesso sul proprio territorio a tutti quelli che hanno avuto rapporti con il nemico, lo stato cubano non applica il visto sul passaporto ma lo sostituisce con la tarjeta del turista, praticamente un foglietto che ti dà il diritto a stare sul suolo di Cuba per un mese e che si può acquistare in qualsiasi agenzia di viaggi per 20$. Se stai di più è sufficiente acquistarne un altro.





Nel gruppo che conosco a Baracoa siamo tutti turisti del tipo molto povero e risparmioso. Ben diversi da quelli a cui sono abituati, per esempio, all’Avana. Ma Benjamin ci batte tutti. Penso sia uno dei turisti più tirchi che abbiano mai visto in loco, tira all’inverosimile sul prezzo di ogni cosa. Da gran figlio di puttana, di quelli veramente adatti a girare il mondo, è l’unico che riesce a portarsi a letto ogni sera una jinetera diversa senza mai pagarla. Con faccia tosta incredibile, dopo averci scopato finge di indignarsi alle loro richieste o fa finta di non capire. Si è trovato persino una quasi-fidanzata. Talmente brutta da accettare di stare con lui anche gratis. O meglio, in cambio di qualche pasto ogni tanto. L’ho visto portarla al ristorante un paio di volte. La notte, quando lei se ne va dalla sua camera per tornare a casa, le lascia talmente pochi pesos che non sono nemmeno sufficienti a pagarsi il ritorno in risciò, dato che lei abita fuori città.
Ci proverà senza successo anche con Berna, la ragazza turca, e se ne andrà da Baracoa una settimana prima di me.

Il ron
E’ quello che noi chiamiamo rum. La bevanda nazionale, ottenuta distillando il prodotto della fermentazione della melassa di canna.
Uno dei marchi più noti a livello mondiale, Bacardi, ha una storia che si intreccia con quella dell’isola. E’ originario di Santiago di Cuba. Inizialmente i proprietari appoggiano la rivoluzione, ma dopo la nazionalizzazione dell’azienda vanno via. E a Castro gliela giurano. Non si contano i complotti che hanno ordito per rovesciarlo o eliminarlo fisicamente. Negli Stati Uniti sono i principali lobbisti delle leggi sull’embargo.

A Baracoa ci sono dei banchetti, per strada, che il ron lo tengono nelle damigiane. Tu vai là con una bottiglia vuota e te la riempiono. E’ il ron dei poveracci, quello che costa meno, spesso annacquato. Tutti i cubani “normali” bevono quel ron. A Baracoa anch’io bevo quello. Altro che Havana Club.
(continua)

Wednesday, January 22, 2003

Baracoa
Qual es la riqueza de Baracoa ?
Coco, Cacao y Cafè (…)


Baracoa è una gioiellino all’estremità sud orientale dell’isola. E’ stato il primo insediamento europeo sull’isola, la prima città della Cuba post-colombiana. Per raggiungerla ci vogliono quattro ore di macchina da Santiago.

Si passa per Guantanamo, si vedono i posti di blocco davanti alla strada che porta alla celeberrima base militare americana. Che in realtà dista diversi chilometri dalla città ed è sul mare.

Si attraversa una montagna, lungo una strada, la Farola, che è un vanto del regime. Prima della rivoluzione infatti a Baracoa ci si poteva arrivare solo via mare. Adesso, oltre che via terra, si può prendere anche il piccolo aereo da turismo che fa servizio diretto con l’aeroporto di Santiago, se uno ha fretta e ha un po’ di soldi da spendere.

Baracoa è dunque una piccola località con una montagna alta e scoscesa alle spalle e l’oceano di fronte a sè. Questa cosa gli crea alcuni vantaggi: innanzitutto un microclima particolare che consente una vegetazione spontanea e rigogliosa di alberi da frutta. Cocco, ananas e banane si trovano un po’ dovunque. In più, e questo è unico in tutta l’isola, c’è il cacao. Ed è l’unico posto dove anche un cubano normale può gustare il cioccolato. Di solito cioccolato in tazza, che viene servito per pochi pesos nei bar statali.

Poi c’è il gelato. Idem come sopra. Certo, non puoi scegliere i gusti. Ogni giorno c’è un gusto (fragola, cacao o vaniglia) ed è quello e basta. Certi giorni non c’è , e amen. Se c’è ti viene servito dentro bicchieri di plastica che poi vengono risciacquati, assieme al cucchiaino di metallo, e riempiti di nuovo per il prossimo cliente. Il tutto non rispetta proprio gli standard igienici occidentali, però devo dire che mi è sembrato molto bello: ti insegna a non essere schizzinoso. E poi costa pochissimo. Duecento lire, o qualcosa del genere.

La spiaggia di Baracoa è a circa un chilometro dal centro abitato. Quando ci vado io è quasi sempre deserta. Fa eccezione solo la domenica.

La spiaggia finisce dove comincia il monte, interamente coperto dalla vegetazione. E proprio lì in fondo c’è il posto migliore, si chiama la boca del Miel , dal nome del rio che sfocia in quel punto. Dolce come il suo nome, caraibico fino al pelo della sua acqua. Tiepido e lentissimo. Subito dietro la spiaggia e dietro il fiume c’è un minuscolo villaggio di pescatori che vivono in baracche di legno.
Le nuotate nel Miel all’ora del tramonto, in un silenzio e una calma totali, sono tra i ricordi più belli che mi sono rimasti del viaggio.

A Baracoa alloggio nella casa di una coppia di professori di scuola. Lui bianco, barbuto e brizzolato, lei mulatta e piuttosto signorile. Guardandoli mi viene da pensare che forse gli insegnanti hanno dei tratti caratteristici che li accomunano in tutto il mondo, perché li vedrei benissimo anche in un liceo italiano. Hanno il fisique du rôle.

Poi c’è l’altro ospite di casa: Benjamin, un francese. Un gran figlio di puttana. Amichevolmente, si intende. Ma questo lo scoprirò solo dopo un po’. Io me la cavo discretamente col francese e lui è molto socievole, pur senza essere mai invadente. E così facciamo conoscenza.

Sta facendo una specie di giro del mondo, o qualcosa del genere. Nel senso che non ha né una meta né dei tempi precisi, ma è fuori da casa da otto mesi e pensa stare in giro ancora un paio d’anni, tra pacifico e sud america. In Francia faceva il venditore di piscine (italiane). A un certo punto si è licenziato ed è partito.

A Baracoa ci sta da un mese e mi fa conoscere tutti lui. Due ragazzi cubani, Henry e Antonio, altri due francesi, François e Michel. Poi insieme conosciamo tre americani (Alfred, Steve e Lucy), due ragazzi e una ragazza, poi ancora una ragazza turca, Berna e una norvegese, Ingrid che si sono conosciute a Santiago e adesso viaggiano insieme. Infine, provate a dire chi incontro a Baracoa? Avete indovinato: la spagnola amica di Itziàr, che si chiama Carol (una mora da giù di testa) con Frederico, il brasiliano.
Piacevole invenzione, Baracoa
(continua)