Alla foce dello Yumurì
Bisogna festeggiare questo nuovo gruppo informale ed estemporaneo che si è formato. Benjamin, che è il più intraprendente, organizza una grigliata alla foce dello Yumurì, un fiume che scorre dentro una pittoresca valle ad alcune decine di chilometri dalla nostra cittadina.
Per raggiungere il posto occorre fare un ultimo tratto a nuoto. Però ne vale nettamente la pena. Il posto è splendido.
A un certo punto arrivano i cuochi con un maialino da arrostire. Solo che è vivo. Il malcapitato viene sgozzato sul posto, dissanguato, depilato alla meglio e impalato e arrostito a fuoco lento per un paio d’ore. Alla fine viene sventrato e riempito di riso. A questo punto ce lo mangiamo. Siccome non abbiamo piatti, né posate, né stoviglie,ce lo mangiamo con le mani, da selvaggi. Avvolto al massimo dentro le foglie di palma, che fanno da supporto. Ogni tanto attaccato alla pelle si trova ancora qualche pelo. Ma non è il caso di fare i difficili, che lo facciamo già i restanti 11 mesi e mezzo l’anno, in Europa e Nord America.
Il restante tempo lo trascorriamo ovviamente tra bagni, chiacchiere e risalendo la valle ai bordi del fiume, in mini escursioni. Nonostante la babele di lingue ci capiamo piuttosto bene. Da notare che a dominare non è l’inglese, sono il francese e lo spagnolo. E per la prima volta mi tocca vedere gli anglofoni che si adattano a parlare un’altra lingua: fa un certo effetto vedere due americani (assolutamente wasp) che parlano spagnolo anche tra di loro. Mi diranno poi che in certi ambienti, oggi come oggi, fa molto tendenza.
Provate a dire di cosa si parla tra maschi? Del fatto che le cubane ci stanno così facilmente che poi alla fine chiedono sempre dei soldi. Sempre. Questa cosa l’hanno toccata tutti e ha scandalizzato tutti. Quando torneremo a casa racconteremo anche noi ai nostri amici la favola che le cubane ci stanno in cambio di una cena e di una maglietta? O la smetteremo di dire cazzate e riferiremo la cruda verità?
Scopro che l’amica di Itziàr non sta col brasiliano, viaggiano solo insieme. Le spagnole sono troppo avanti. E infatti, tornati a Baracoa, riesco a portarla fuori a cena. A tavola discutiamo di politica. Lei è molto comunista, ma siccome è di Barcellona, ho buon gioco nel citarle la CNT (il sindacato anarchico), la grande spinta idealistica del 36 naufragata con la guerra civile, i torti degli stalinisti, le ragioni delle concezioni etiche antiautoritarie dei libertari. E’ il mio piccolo capolavoro. Praticamente la convinco delle mie ragioni nello spazio di un pasto. Mi guarda con ammirazione, si vede. Però il mio vero obiettivo - Bakunin mi perdoni - era un altro (provate a dire quale..). E lì non va.
Americani
E’ noto che i cubani nella loro isola sono prigionieri. Ma che dire degli americani, che per venire a Cuba legalmente devono essere esplicitamente autorizzati a farlo dal loro governo? Anzi: per la verità, tecnicamente, per un cittadino degli Stati Uniti d’America venire a Cuba non è vietato. E’ vietato spenderci soldi. A meno di non avere la famosa autorizzazione.
Tra gli Yanqui che ho conosciuto io, solo la ragazza l’aveva. Gli altri due, quando torneranno, in base alla legge Helms-Burton (approvata dal presidente Clinton), potrebbero incorrere in multe fino a 50.000$ e all’eventuale confisca delle proprietà personali. Se le autorità saranno clementi. Perché diversamente, in base al Trading with the Enemy Act (Decreto sul Commercio con il Nemico) potrebbe scapparci anche l’arresto e la reclusione fino a 10 anni sommata a ulteriori sanzioni fino a 250.000$. Mi dicono i due ragazzi che fino ad ora non risulta che nessuno sia stato incarcerato. Qualcuno è incorso nelle sanzioni pecuniarie.
Gli americani che vengonoa Cuba, di solito, lo fanno a proprio rischio e pericolo. Partendo dal Canada o dal Messico, paesi che invece hanno un rapporto privilegiato con l’isola. Siccome il governo americano vieta l’accesso sul proprio territorio a tutti quelli che hanno avuto rapporti con il nemico, lo stato cubano non applica il visto sul passaporto ma lo sostituisce con la tarjeta del turista, praticamente un foglietto che ti dà il diritto a stare sul suolo di Cuba per un mese e che si può acquistare in qualsiasi agenzia di viaggi per 20$. Se stai di più è sufficiente acquistarne un altro.
Nel gruppo che conosco a Baracoa siamo tutti turisti del tipo molto povero e risparmioso. Ben diversi da quelli a cui sono abituati, per esempio, all’Avana. Ma Benjamin ci batte tutti. Penso sia uno dei turisti più tirchi che abbiano mai visto in loco, tira all’inverosimile sul prezzo di ogni cosa. Da gran figlio di puttana, di quelli veramente adatti a girare il mondo, è l’unico che riesce a portarsi a letto ogni sera una jinetera diversa senza mai pagarla. Con faccia tosta incredibile, dopo averci scopato finge di indignarsi alle loro richieste o fa finta di non capire. Si è trovato persino una quasi-fidanzata. Talmente brutta da accettare di stare con lui anche gratis. O meglio, in cambio di qualche pasto ogni tanto. L’ho visto portarla al ristorante un paio di volte. La notte, quando lei se ne va dalla sua camera per tornare a casa, le lascia talmente pochi pesos che non sono nemmeno sufficienti a pagarsi il ritorno in risciò, dato che lei abita fuori città.
Ci proverà senza successo anche con Berna, la ragazza turca, e se ne andrà da Baracoa una settimana prima di me.
Il ron
E’ quello che noi chiamiamo rum. La bevanda nazionale, ottenuta distillando il prodotto della fermentazione della melassa di canna.
Uno dei marchi più noti a livello mondiale, Bacardi, ha una storia che si intreccia con quella dell’isola. E’ originario di Santiago di Cuba. Inizialmente i proprietari appoggiano la rivoluzione, ma dopo la nazionalizzazione dell’azienda vanno via. E a Castro gliela giurano. Non si contano i complotti che hanno ordito per rovesciarlo o eliminarlo fisicamente. Negli Stati Uniti sono i principali lobbisti delle leggi sull’embargo.
A Baracoa ci sono dei banchetti, per strada, che il ron lo tengono nelle damigiane. Tu vai là con una bottiglia vuota e te la riempiono. E’ il ron dei poveracci, quello che costa meno, spesso annacquato. Tutti i cubani “normali” bevono quel ron. A Baracoa anch’io bevo quello. Altro che Havana Club.
(continua)
Bisogna festeggiare questo nuovo gruppo informale ed estemporaneo che si è formato. Benjamin, che è il più intraprendente, organizza una grigliata alla foce dello Yumurì, un fiume che scorre dentro una pittoresca valle ad alcune decine di chilometri dalla nostra cittadina.
Per raggiungere il posto occorre fare un ultimo tratto a nuoto. Però ne vale nettamente la pena. Il posto è splendido.
A un certo punto arrivano i cuochi con un maialino da arrostire. Solo che è vivo. Il malcapitato viene sgozzato sul posto, dissanguato, depilato alla meglio e impalato e arrostito a fuoco lento per un paio d’ore. Alla fine viene sventrato e riempito di riso. A questo punto ce lo mangiamo. Siccome non abbiamo piatti, né posate, né stoviglie,ce lo mangiamo con le mani, da selvaggi. Avvolto al massimo dentro le foglie di palma, che fanno da supporto. Ogni tanto attaccato alla pelle si trova ancora qualche pelo. Ma non è il caso di fare i difficili, che lo facciamo già i restanti 11 mesi e mezzo l’anno, in Europa e Nord America.
Il restante tempo lo trascorriamo ovviamente tra bagni, chiacchiere e risalendo la valle ai bordi del fiume, in mini escursioni. Nonostante la babele di lingue ci capiamo piuttosto bene. Da notare che a dominare non è l’inglese, sono il francese e lo spagnolo. E per la prima volta mi tocca vedere gli anglofoni che si adattano a parlare un’altra lingua: fa un certo effetto vedere due americani (assolutamente wasp) che parlano spagnolo anche tra di loro. Mi diranno poi che in certi ambienti, oggi come oggi, fa molto tendenza.
Provate a dire di cosa si parla tra maschi? Del fatto che le cubane ci stanno così facilmente che poi alla fine chiedono sempre dei soldi. Sempre. Questa cosa l’hanno toccata tutti e ha scandalizzato tutti. Quando torneremo a casa racconteremo anche noi ai nostri amici la favola che le cubane ci stanno in cambio di una cena e di una maglietta? O la smetteremo di dire cazzate e riferiremo la cruda verità?
Scopro che l’amica di Itziàr non sta col brasiliano, viaggiano solo insieme. Le spagnole sono troppo avanti. E infatti, tornati a Baracoa, riesco a portarla fuori a cena. A tavola discutiamo di politica. Lei è molto comunista, ma siccome è di Barcellona, ho buon gioco nel citarle la CNT (il sindacato anarchico), la grande spinta idealistica del 36 naufragata con la guerra civile, i torti degli stalinisti, le ragioni delle concezioni etiche antiautoritarie dei libertari. E’ il mio piccolo capolavoro. Praticamente la convinco delle mie ragioni nello spazio di un pasto. Mi guarda con ammirazione, si vede. Però il mio vero obiettivo - Bakunin mi perdoni - era un altro (provate a dire quale..). E lì non va.
Americani
E’ noto che i cubani nella loro isola sono prigionieri. Ma che dire degli americani, che per venire a Cuba legalmente devono essere esplicitamente autorizzati a farlo dal loro governo? Anzi: per la verità, tecnicamente, per un cittadino degli Stati Uniti d’America venire a Cuba non è vietato. E’ vietato spenderci soldi. A meno di non avere la famosa autorizzazione.
Tra gli Yanqui che ho conosciuto io, solo la ragazza l’aveva. Gli altri due, quando torneranno, in base alla legge Helms-Burton (approvata dal presidente Clinton), potrebbero incorrere in multe fino a 50.000$ e all’eventuale confisca delle proprietà personali. Se le autorità saranno clementi. Perché diversamente, in base al Trading with the Enemy Act (Decreto sul Commercio con il Nemico) potrebbe scapparci anche l’arresto e la reclusione fino a 10 anni sommata a ulteriori sanzioni fino a 250.000$. Mi dicono i due ragazzi che fino ad ora non risulta che nessuno sia stato incarcerato. Qualcuno è incorso nelle sanzioni pecuniarie.
Gli americani che vengonoa Cuba, di solito, lo fanno a proprio rischio e pericolo. Partendo dal Canada o dal Messico, paesi che invece hanno un rapporto privilegiato con l’isola. Siccome il governo americano vieta l’accesso sul proprio territorio a tutti quelli che hanno avuto rapporti con il nemico, lo stato cubano non applica il visto sul passaporto ma lo sostituisce con la tarjeta del turista, praticamente un foglietto che ti dà il diritto a stare sul suolo di Cuba per un mese e che si può acquistare in qualsiasi agenzia di viaggi per 20$. Se stai di più è sufficiente acquistarne un altro.
Nel gruppo che conosco a Baracoa siamo tutti turisti del tipo molto povero e risparmioso. Ben diversi da quelli a cui sono abituati, per esempio, all’Avana. Ma Benjamin ci batte tutti. Penso sia uno dei turisti più tirchi che abbiano mai visto in loco, tira all’inverosimile sul prezzo di ogni cosa. Da gran figlio di puttana, di quelli veramente adatti a girare il mondo, è l’unico che riesce a portarsi a letto ogni sera una jinetera diversa senza mai pagarla. Con faccia tosta incredibile, dopo averci scopato finge di indignarsi alle loro richieste o fa finta di non capire. Si è trovato persino una quasi-fidanzata. Talmente brutta da accettare di stare con lui anche gratis. O meglio, in cambio di qualche pasto ogni tanto. L’ho visto portarla al ristorante un paio di volte. La notte, quando lei se ne va dalla sua camera per tornare a casa, le lascia talmente pochi pesos che non sono nemmeno sufficienti a pagarsi il ritorno in risciò, dato che lei abita fuori città.
Ci proverà senza successo anche con Berna, la ragazza turca, e se ne andrà da Baracoa una settimana prima di me.
Il ron
E’ quello che noi chiamiamo rum. La bevanda nazionale, ottenuta distillando il prodotto della fermentazione della melassa di canna.
Uno dei marchi più noti a livello mondiale, Bacardi, ha una storia che si intreccia con quella dell’isola. E’ originario di Santiago di Cuba. Inizialmente i proprietari appoggiano la rivoluzione, ma dopo la nazionalizzazione dell’azienda vanno via. E a Castro gliela giurano. Non si contano i complotti che hanno ordito per rovesciarlo o eliminarlo fisicamente. Negli Stati Uniti sono i principali lobbisti delle leggi sull’embargo.
A Baracoa ci sono dei banchetti, per strada, che il ron lo tengono nelle damigiane. Tu vai là con una bottiglia vuota e te la riempiono. E’ il ron dei poveracci, quello che costa meno, spesso annacquato. Tutti i cubani “normali” bevono quel ron. A Baracoa anch’io bevo quello. Altro che Havana Club.
(continua)