Friday, January 31, 2003

Jacqueline

tu no tienes la culpa
mi amor
que el mundo sea tan feo



La storia più banale che può capitare a Cuba, ma con qualche imprevisto.

Jacqueline è una jinetera. Ovviamente se glielo dici si offende. Ovviamente la incontro una sera al solito Paraiso. Ovviamente si fa avanti lei. Balliamo un po’, poi ci sediamo a parlare. E’ una mulatta carina, non bellissima. Con una forma del viso particolare, tendente al triangolare, che può piacere o meno. Mi racconta le solite balle: che lei non è di Baracoa, che viene da Moa e che è lì in vacanza, ospite di una zia.
Moa è una cittadina a qualche decina di chilometri da Baracoa, famosa per lo scempio ambientale causato dalle miniere e dalle fonderie di nichel

Mi dice che studia medicina all’università, che è al primo anno anticipato (ha 17 anni). Poi si profonde in un lungo elenco di malattie infettive sessualmente trasmissibili, comprese le precauzioni, i sintomi e i tempi di guarigione. La cosa è persino rassicurante. Senonchè alla fine se ne esce con questa frase: “ le malattie infettive sono quasi tutte sessualmente trasmissibili, tranne poche eccezioni. Per esempio l’AIDS.” Ci rimango di sasso. La guardo basito e faccio “Eh?” – “Ma sei matta? Ma cosa dici? Se c’è una malattia sessualmente trasmissibile è proprio l’AIDS. Lo sanno tutti.” Lei sorride e fa “E va bè.. mi sarò sbagliata, non sono mica un computer…”.

Però è quando la serata finisce che mi fa la fatidica domanda
_”Posso venire a casa con te?”
_“Eeeehhh…mahhh...va bene…”

Perché ho risposto sì? Per tanti motivi, credo: 1. adesso dormo nella stanza con ingresso indipendente che era di Benjamin - 2. comincio a capire di essere in un altro mondo, dove valgono regole diverse - 3. L’offerta è troppa, funziona come la pubblicità: si finisce per capitolare – 4. Sono stanco di essere considerato snob e antipatico perché rifiuto le donne locali - 5. Cosa c’è di male? Sono un moralista io?

(le trovate motivazioni di comodo? credo che abbiate ragione - ma prima di giudicare, almeno fate un salto a Cuba)


Veniamo alla seconda domanda: perché con tutte quelle che ci sono, proprio lei? Sicuramente perché è gradevole, simpatica. Al di là delle molte balle che racconta, ci si parla bene. Mi sembra meno cinica delle altre. Ma il pregio principale è un altro: non è invadente. E non chiede niente. In un posto in cui qualsiasi ragazza si sente in diritto di esigere da te consumazioni a oltranza, in quanto maschio straniero, fa la sua differenza.

Arriviamo a casa. Al locale non mi ero accorto che avesse un fisico così ben fatto. Bene. La storia dovrebbe finire qui. Una notte di sesso e amen. Al massimo con qualche replica le sere successive.

Invece a questo punto cominciano gli imprevisti.
Non abbiamo ancora finito di scopare che qualcuno comincia a bussare insistentemente alla porta. Apro lo spioncino. Sono due ragazzi di colore, maschio e femmina. Lei dice che è un’amica di Jacqueline e che le vuole parlare. Jacqueline si vede che è impaurita. Mi dice sottovoce che non quella non è una sua amica. E poi va a parlarle, sempre da dietro la porta chiusa. Non capisco quello che si dicono ma dopo il dialogo vedo la mia partner occasionale che scappa nel corridoio mentre gli altri due continuano a picchiare alla porta.
A questo punto comincio a insultarli. In italiano, perché quando sei incazzato viene fuori sempre la tua lingua madre. Poi corro a vedere dov’è finita Jacqueline.

La trovo in cucina con un coltello in mano. Di quelli arrotondati e veramente poco offensivi, per la verità.
_ “Che cazzo fai?”
_”Vogliono entrare.. vogliono entrare per rubarti tutto… spaccheranno la porta. Sbattimi fuori ma lasciami il coltello”
_”Ma non dire cazzate” – le prendo l’arnese, la riporto in camera – ed effettivamente i due disgraziati sono ancora lì che picchiano alla porta. Mi affaccio dallo spioncino e dico che sto chiamando la polizia. Pensavo che questo li avrebbe fatti scappare a gambe levate. E invece niente. Continuano a bussare e a dire che vogliono parlare con Jacqueline.
A questo punto comincio a preoccuparmi, anche perché la cosa va avanti per una mezz’ora buona. E decido – extrema ratio - di andare a svegliare i padroni di casa, che non so com’è, con tutto quel casino stanno ancora dormendo.

Vado alla porta della loro camera. Busso. Non rispondono.
Apro la porta, metto dentro il naso. Non c’è nessuno. Andiamo bene. Proprio stasera.
Il telefono in casa non c’è, e quindi non posso chiamare la polizia neanche volendo.

Torno in camera, Jacqueline è rannicchiata in un cantuccio, e quelli fuori sempre lì che tirano pugni allo stipite e urlano. Gli rispondo gridando le più brutte cose che mi capitano in mente, indifferentemnte in spagnolo e italiano. Per un momento viene da pensare anche a me che la porta, molto sottile, potrebbe anche cedere.

A quel punto si accende la luce nel corridoio. Sono i padroni di casa, che stranamente quella sera dormivano in un'altra stanza e finalmente hanno sentito il bailamme. Spiego brevemente la situazione. Loro aprono tranquillamente la porta.
_ “Que pasa?"
I due bastardi dicono che in casa c’è una ragazza loro amica insieme all’ospite italiano e che vogliono parlarle.
Allora i miei affittacamera si rivolgono a Jacqueline e le dicono che se vuole dormire in casa deve fornire i documenti. Lei naturalmente non li ha. La sbattono fuori in un istante.

Provo a spiegar loro che la ragazza aveva paura dei due e potrebbe essere in pericolo. Niente da fare. Loro sono cubani e hanno capito tutto.
_ “Questi sono ladri che agiscono in combutta e ti volevano rubare tutto. Non uscire assolutamente in strada e vai a dormire”.
Chiudono la porta e tornano a dormire anche loro.

Ora: il dubbio che fosse tutta una messinscena all’inizio ce l’avevo anch’io. Ma la cosa non sta in piedi: primo perché ho visto quant’era spaventata Jacqueline, che se recitava era da oscar. Secondo perché i ladri che agiscono in combutta non si comportano così. Come minimo aspettano che il pollo sia addormentato, per rubargli tutto. E infatti non hanno ricavato niente da questa pantomima. Anzi: volendo essere pignoli, Jacqueline ci ha rimesso il reggiseno, che nel trambusto è rimasto in camera mia.

E comunque se la donna con cui stavo facendo l’amore fino a un ora prima adesso magari è in pericolo, mi sembrerebbe moralmente riprovevole non andare ad aiutarla. Così uso il mio ingresso indipendente e scendo in strada. I tre sono in fondo alla calle. Discutono animatamente e si sentono le voci. Mi avvicino. Vedo che Jacqueline è scalza e quell’altra ha i suoi sandali in mano e dice: “Non so cosa farmene di questa roba, la vendo al mercato per tre pesos: io voglio cinque dollari” . Il ragazzo che sta con lei e che ha picchiato la porta della mia stanza per un ora, rovinandomi anche la serata e la scopata, viene da me tranquillamente e, faccia di bronzo, mi fa: “Sono cose tra donne, lasciamole fare”. Ovviamente si becca un vaffanculo. Se fossi un tipo un pelo meno tranquillo si beccava una papagna in faccia, e ci sarebbe stata molto meglio. Le due donne cominciano prendersi per i capelli. Le dividiamo. Però a questo punto per me i due tizi hanno passato il limite.
“Adesso mi avete veramente rotto i coglioni. Io vado alla polizia
E lo faccio.

Capirò solo dopo che ho fatto una cazzata. Ma lì per lì sono furioso e non mi rendo conto delle conseguenze. La cosa più strana è che neanche Jacqueline si rende conto, e mi segue serenamente.
(continua)

Wednesday, January 29, 2003

Machismo-leninismo
I cubani sono machisti da far schifo. Non ce n’è uno che dichiari di avere meno di tre fidanzate. Ma nessuno pensa di avere le corna. Se la loro moglie gli facesse le corna l’ammazzerebbero, chiaro.

Si dice che dopo il film Fragole e cioccolata, molti pregiudizi contro l’omosessualità siano stati superati. Sarà anche così, ma credo che essere omosessuali a Cuba voglia dire non avere vita molto facile. Di omosessualità bisogna parlare sottovoce. Io stesso, siccome non mi porto mai a casa le Jinetere del Paraiso, vengo preso da qualcuno per omosessuale. E un ragazzino arriverà a offrirmisi. Ma sempre sottovoce. Con una discrezione che non è nemmeno lontana parente del baccano delle donne, che ti si gettano quasi letteralmente addosso.
Una ragazza (Jacqueline) arriverà una volta a dirmi che sono omosessuale perché mi lascio toccare il sedere dalle donne. Nessun macho cubano lo farebbe mai.
Ed effettivamente, anche nelle discoteche, le donne si permettono a volte di metterti la mano sui genitali. Mai sul sedere.

La rusa de Baracoa
La rusa, ovverosia “la russa”.

Passeggiando per il lungomare di Baracoa ci si imbatte in un piccolo hotel color mattone, ben tenuto. Al piano terra c’è una veranda dove si può mangiare il pesce. E’ grazioso, ma non ci si farebbe particolarmente caso, se non ci fosse dietro una storia. Una di quelle storie minori che compongono il mosaico della grande Storia. E che merita di essere raccontata. Lo faccio integrando la scheda che sta sulla mia guida con la memoria del racconto che mi è stato fatto direttamente sul posto. Mi scuso per eventuali inesattezze, dovute al tempo che è passato.

L’hotel si chiama appunto “La rusa” e la russa a cui fa riferimento è Magdalena Rovieskuya, nata a San Pietroburgo- Russia, figlia della nobiltà patrizia. Al momento della rivoluzione è una bambina e la sua famiglia viene completamente sterminata. Si salvano solo lei e la zia, grazie ad un congiurato coi rivoluzionari che non se la sentirà di mettere a repentaglio anche le loro vite e gli aprirà una via di fuga oltre gli Urali, dove l’insurrezione per il momento non ha ancora vinto. Da questi luoghi riusciranno a riparare in Turchia e da lì a Parigi.

E a Parigi Magdalena si stabilisce per tutta la gioventù. Studia canto e pare sia “bella come una dea” e molto affascinante. Si affermerà come soprano e questo la condurrà a cantare per i teatri più famosi d’Europa: L’Opera di Parigi e La Scala di Milano innanzitutto. A un certo punto molla il canto per amore del marito, Albert Ménassé Baruch, uomo d’affari, e si trasferisce con lui negli Stati Uniti.

Messi in difficoltà economiche dalle conseguenze della crisi del 29, decidono di spostarsi all’Avana, dove lui aveva alcuni interessi da seguire. Dopo alcuni anni, stanchi forse della vita della capitale, i due emigrano in questa cittadina isolata dal resto di Cuba, raggiugibile solo via mare. Nel 1948 vi aprono un albergo. Desiderosi di tranquillità ed appagati? Forse. Ma per quelle strane sorprese che la vita riserva a volte, la storia non finirà qui.

Infatti è a questo punto che l’aria di Cuba si increspa. E il vento che comincia a spirare, e che tira proprio dall’est dell’isola, è un vento che si farà tempesta. E’ il vento della libertà che reclama la fine dei tiranni. E’ il vento dell’emancipazione e della giustizia sociale. Del riscatto popolare e del progresso. E la rusa? La nobile e ricca possidente cui la rivoluzione di casa sua ha sterminato la famiglia, l’affascinate dea che parla perfettamente cinque lingue, l’ex cantante lirica ritiratasi nell’ angolo più remoto e tranquillo dell’isola cosa fa? Ovvio: sposa la causa degli insorti.

Metterà il suo albergo e i suoi soldi a disposizione di quelli che allora sono pochi ribelli dalle lunghe barbe. I loro nomi è inutile farli perché li conoscete tutti. Anzi: ne conoscete solo due, ma sono proprio quei due che frequenteranno maggiormente l’hotel.

Il primo atto della nuova amministrazione di Baracoa, questo è bello ricordarlo, sarà l’abolizione della segregazione razziale, che ancora vigeva sotto Batista. A Magdalena verrà offerto il posto di ambasciatrice in Unione Sovietica, che lei rifiuterà perché, dice, non ha dei bei ricordi. Rivestirà comunque alcune cariche pubbliche importanti, prima di spegnersi nel 1978.
Non ci è dato sapere se negli ultimi anni si fosse accorta che, anche in questa rivoluzione, qualcosa non stava funzionando.

Suo figlio, Renè Frometa, è vivo e fa il pittore. Conserva i cimeli della madre e li mostra ai turisti raccontandone la storia. Naturalmente sono andato a trovarlo.
(continua)

Monday, January 27, 2003

Il guercio, Henry, Antonio e gli altri
el tuerto - il guercio - è uno dei più bei personaggi che ho conosciuto a Baracoa. Lo chiamano così per via dell’occhio di vetro. E’ un musicista di strada. Chitarra, maracas, percussioni varie nelle jam session improvvisate en la calle. Di solito in angoli bui vicino al lungomare. E’ bravissimo, l’ho visto inventarsi all’istante una canzone su me e Benjamin. Tutta in rima. Un free-styler d’eccezione. I versi che trovate all’inizo del paragrafo su Baracoa vengono ovviamente da una sua canzone. In qualsiasi altro posto al mondo si esibirebbe in un locale o per strada e sarebbe a posto. A Cuba no, è costretto a noleggiare la moglie (me lo dirà lui stesso) e a cercare ogni sera qualche turista che assista ai suoi spettacolini per rimediare qualche dollaro e una bottiglia di ron. E infatti ogni sera viene a cercarmi, obbligandomi ancora una volta a fare i conti con l’odiosa sensazione di essere un portafoglio ambulante. Finirò con l’evitare anche lui.

La vita che faccio a Baracoa, a livello di spesa, è il contrario di quella che facevo all’Avana. Grazie alla presenza di Benjamin e alla voglia di prolungare il più possibile la permanenza, sono diventato un risparmiatore incallito. Sono capace di vivere con 3-4$ al giorno, escluso ovviamente l’alloggio, che di dollari ne costa dieci. Mangio pochissimo e di solito le pizzette da tre pesos che si comprano nei banchetti. Ho rinunciato anche all’aragosta della mia padrona di casa, che costa 5$.



_“A Cuba se non paghi ti fai le seghe”. E fa anche il gesto. E’ diretto il mio amico cubano Antonio. E anche un po’ cinico. Ma non posso fare a meno, in un certo senso, di essergli grato per uno dei pochi momenti di sincerità che mi è capitato di ascoltare da un locale. Uno dei pochi momenti in cui l’interesse e l’autocensura non hanno prevalso.

C’è una ragazza seduta sulla panchina di fronte a noi. Antonio comincia a dirle che io non voglio pagare il sesso perché sono un avaro. Lei è una mulatta giovane, carinissima. Mi piace un sacco. Però è proprio una di quelle che vedo tutte le sere al Paraiso, uno dei pochi locali di Baracoa (che frequento anch’io), a cercare turisti. In più è la sorella del Chino, il principale ruffiano della città, uno che tutte le sere porta a Baracoa tre o quattro ragazze nuove per adescare gli stranieri.

_ “Perché non vuoi pagare?”
_ “Non mi piace”
_ “Cioè se io vengo con te dopo non mi paghi?”
_ “Ti ho detto che non mi piace pagare”
_ “Sei un tirchio! Sei uno spilorcio! Perché non te ne vai?”
_"Me ne andrò tra qualche giorno”
_ “Perché non te ne vai adesso?”
_"Perché non te ne vai tu?”
_"Io sono a casa mia, sei tu che te ne devi andare.”
[Effettivamente non fa una grinza, e adesso cosa le dico?]

E allora riprende lei: capisco che mi insulta ma non capisco cosa dice. Poi viene verso di me e comincia a pizzicarmi. La devo spingere via.
A quel punto mi dice che se voglio andare con lei le devo dare almeno un dollaro."
_ “ Io sulla fronte ho scritto: 1 dollaro. Chi viene con me mi deve dare un dollaro.
Quando si dice vendere cara la pelle


Henry è una tra le più brave persone che abbia incontrato a Cuba. Molto più di Antonio, che spesso cerca di fare il furbo. E’ estremamente dignitoso, non mi ha mai chiesto né soldi né regali (alla fine gli regalerò di mia spontanea volontà tutte le medicine che mi ero portato per il viaggio, tra cui due ricercatissime scatole di Aspirina e Tachipirina). Condivide con Antonio il curriculum di ex allievo dell’accademia militare e di attuale studente di una scuola di lingue dell’Avana, che prepara chi vuole lavorare col turismo.

_ “ Sono disoccupato e devo passare il tempo guardando in faccia la gente che passa. E’ da una vita che studio e non ho in tasca neanche tre pesos per comprarmi una pizza. Se fossi un jinetero o uno come el Chino avrei sempre le tasche piene di dollari.”

_"E adesso che hai finito il corso cosa farai?”

_ “Spero di lavorare in un posto come il Rumbo (la catena di caffetteria/bar per turisti che tiene aperto h 24/24 - nda), ma se non hai i giri non ci entri”

A chiarirmi ulteriormente le idee su come funzionano le cose con le donne ci pensa lui. Una sera mi presenta una sua amica. Una che veste alla cubana, molto dimessa.

_ “Tu lo vedi che lei non è una jinetera. Lo vedi come veste. Non l’hai mai vista con uno straniero, non l’hai mai incontrata in un locale. Sta sempre qua con noi, in piazza”
Vero.

_"E’ una ragazza molto religiosa, testimone di Geova (come molti in quella zona dell’isola -nda). Io te l’ho presentata: se finite a letto insieme lei non ti chiederà mai nulla. Ma tu non puoi far finta di niente e non darle niente. Perché lei ha un figlio piccolo.”
Eviteremo il problema e non andremo a letto insieme

Mi dirà poi il mio amico pescatore: “ La prostituzione non è solo con gli stranieri. Certo, a loro puoi chiedere di più. Ma lo sai che ci sono delle donne che vanno coi cubani per 5 pesos, solo per comprare il latte ai loro figli?”

Chiude il cerchio una ragazza che incontrerò quando tornerò all’Avana, l’ultima notte.
_ “ Quasi tutti i rapporti sessuali a Cuba sono a pagamento. Tranne ovviamente quelli tra marito e moglie e tra fidanzati stabili. Anche per andare con connazionale le donne si fanno quasi sempre pagare”
E così scopro con infinita tristezza che il periodo éspecial non ha costretto gli isolani a rinunciare solo all’aragosta, ma ha demolito la più grande istituzione del costume locale: l’adulterio passionale.
(continua)